Oggi presso l’aula della Corte di Assise del Tribunale di Genova, è in corso il processo per l’omicidio di Davide Di Maria, avvenuto in circostanze poco chiare il 17 settembre 2016 a San Giacomo di Molassana.
Sono indagati a vario titolo quattro persone. Guido Morso risulta l’unico imputato con l’accusa di omicidio volontario. Mentre il padre, Vincenzo Mors, Marco Mor N’Diaye e Christian Beron Tovar sono accusati di rissa aggravata dalla morte di “Davidino”.
Oggi dopo il proseguimento dell’interrogatorio di Marco N’Diaye da parte del suo avvocato Alessandro Vaccaro, verrà sentito anche Cristian Beron.
Sembra invece che Vincenzo Morso non si farà interrogare, ma rilascerà spontanee dichiarazioni.
In base alle dichiarazioni, sarà poi l’accusa, sostenuta dal pm Alberto Landolfi, che dovrà decidere se chiedere un confronto tra N’Diaye e Beron e tra lo stesso Beron e Guido Morso.
Durante l’udienza di ieri, era stato ascoltato un ispettore della Polizia Scientifica di Torino e gli imputati Guido Morso e Marco N’Diaye. All’udienza, aveva partecipato per la prima volta anche Christian Beron Tovar.
Guido Morso ha sostanzialmente riferito di essere un grande amico di “Davidino” e di avergli venduto 3 chili di hashish a credito per circa 6mila euro: non sarebbe stato un problema in quanto si conoscevano “da 15 anni” e non avrebbe mai litigato “con un amico per 6mila euro”.
Parlando dei fatti di quel pomeriggio, Guido Morso ha inoltre spiegato che N’Diaye aveva insistito perché andasse a casa sua a Molassana, dove avrebbe trovato “Davidino” legato mani e piedi con le fascette mentre D’Ndiaye lo picchiava con calci e pugni.
Una volta entrati, N’Diaye, che era armato, avrebbe aggredito il padre Enzo. Davidino, ad un certo punto, si sarebbe riuscito a liberare e avrebbe quindi aggredito N’Diaye. Poi, vedendo una pistola in terra, l’avrebbe presa sparando d’impeto.
Sempre secondo il racconto di Guido Morso, la vittima sarebbe uscita di casa e Beron, che lo aveva seguito, sarebbe tornato dentro dopo pochi secondi dicendo: “E’ morto”. In quei frangenti, padre e figlio sarebbero scappati.
Infine, Guido Morso ha spiegato ai giudici: “Mi sono costituito, credevo di averlo ucciso io… ero sconvolto perché era un mio amico”.
Completamente diversa, invece, la versione riferita da Marco N’Diaye che ha spiegato come le fascette fossero un gioco che Cristian e Davide facevano “per imitare la polizia americana”. Poi all’arrivo dei Morso “Davide era in piedi anche se una fascetta gli era rimasta al polso”.
Per quanto riguarda l’arma, Marco Mor N’Diaye ha sostenuto che non era la sua, “neppure quella cromata”… “Vincenzo Morso è entrato armato e io mi sono scagliato verso di lui perché credevo che sparasse”. In merito alle munizioni trovate in giardino, N’Diaye ha aggiunto: “Non sono mie, ce le ha messe qualcuno”.
In definitiva, si tratta di un processo complicato nel quale, durante l’udienza odierna, o con un confronto diretto tra le parti, forse, si potrà capire qualcosa di più. Soprattutto se ci fu la volontà di “punire” Davidino o se l’omicidio scaturì da una tragica casualità.