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Casa Sanremo: Gianna compie 40 anni ma non li dimostra

“Rino Gaetano era spesso associato a quel cilindro, a quel frac e a quel ukulele che portò con sé mentre saliva sul palco dell’Ariston per cantare la sua ‘Gianna’, quarant’anni fa. Bene! Io li poso simbolicamente a terra per svelarvi il lato più artistico, più poetico e maturo di Rino, quello forse più puro”, così esordisce Matteo Persica, autore di “Rino Gaetano, essenzialmente tu”, un libro che ripercorre la biografia del celebre cantautore calabrese che ha lasciato in eredità alcuni brani musicali divenuti dei veri “cult”. “Berta Filava”; “Ma il cielo è sempre più blu” (45 giri che conteneva un solo brano, diviso in due parti, ndr); “Mio fratello è figlio unico” (titolo del suo secondo album, ndr) e “Rosita di bianco vestita”. Senza dimenticare il tono sarcastico di: “”Resta vile maschio, dove vai?” e il ritmo coinvolgente di “Ahi Maria”, canzone che ha saputo “scaldare” il pubblico in sala che l’ha accompagnata con percussioni improvvisate, seguendo il ritmo del cantante-chitarrista Daniele Savelli.

“Dopo otto anni di ricerche, ho scoperto che Rino, spesso definito dalla critica come il cantautore del “non-sense”, nell’accezione peggiore, era tutt’altro e i suoi amici di sempre: Piero Montanari, Domenico Messina e Rodolfo Bianchi (i due ultimi presenti in sala, ndr) me lo hanno confermato; credo sia questo il ‘motore’ che mi ha spinto a scrivere il libro”, confessa Persica e aggiunge: “ho così scoperto alcuni aspetti inediti della sua vita come l’incontro con Marcello Casco (talent scout indipendente) e l’episodio delle ‘monete di cioccolato’ (vedi video)”.

E sulle note di “Ti Ti Ti Ti …” ormai tutto il pubblico è immerso nella “dimensione” anticonformista, ma estremamente moderna, del cantautore che Domenico Messina (suo amico di infanzia, e presente tra gli ospiti) definisce come un “ragazzo umile, normalissimo che ascoltava tutti e poi faceva quello che voleva lui”.

Una carriera non facile, quella di Rino Gaetano, fatta di alti e bassi e culminata con la sua tragica scomparsa a seguito di un incidente stradale, nel giugno del 1981. Un evento che, a distanza di qualche anno, ha forse contribuito ad aumentare la sua “fama”. Quella capace di avvicinarlo alla gente di tutti i giorni, spesso delusa e insoddisfatta. Quella raccontata nei testi delle sue canzoni.

“Rino inventò, non a caso, il genere della ‘canzone aperta’, un po’ sullo stile di ‘quelli che’ di Enzo Jannacci, un modo di fare musica che precorreva i tempi” (e per questo non subito recepito da alcuni, ndr) conclude Mario Luzzatto Fegiz, giornalista e critico musicale, citando una frase di Ennio Melis, uno dei primi produttori discografici italiani: “L’artista va innanzitutto derubato nel suo stesso interesse”. E ciò che importa è stimolare più la sua vena costruttiva che quella distruttiva.

Maurizio Abbati