Per quanto si possa essere decisi assertori della comunicazione, del dialogo e della condivisione, per quanto si possa sostenere l’idea che il confronto inter-personale sia una fase sana e fontale della conoscenza, tuttavia non si può non riconoscere quanto lo scambio verbale, per una quota considerevole di casi, si ripieghi su sé stesso, si replichi a tal punto da intendersi ginnicamente, come puro esercizio aerobico.
Non è raro notare, infatti, che il tipico esito del dialogo, articolato sul battuto percorso delle quotidiane liturgie, non accresca in alcun modo la singola quota originaria di conoscenza, né di esperienza.
Né, ancora, può negarsi l’ipotesi, stante la predetta ricorsività ed elementarità dei concetti espressi, che, con l’economico impiego di metà parole o quello dispendioso del doppio, l’esito permanga inalterato.
Se da un lato, quindi, una montagna di parole invade ogni spazio di relazione, dall’altro gli argomenti tendono a replicarsi per automatismo. Talvolta, anzi, come prevedibile, destando una regressione delle stesse dinamiche di pensiero.
Va altresì precisato che, usualmente, il “ricevente” e l’ “emittente” si interpongono a turno con una tal miope ego-referenzialità, da implicare la vicendevole indifferenza e, con essa, la certezza dell’inconcludenza.
Parlarci, insomma, il più delle volte, è un’azione senza seguito. Sia che si tratti di questioni “estranee”, sia “domestiche”, il coinvolgimento ed il proposito individuali fluttuano il più delle volte ad uno stadio mono-direzionale e mono-tematico, con un intento proselitistico che, in quanto tale, non può lasciare porte aperte a soluzioni compromissorie degne di interesse.
In buona sostanza, di tutto il fiato che occorre, una gran parte scorre ed una minima parte, come deve, dis-corre.
A conti fatti, per riequilibrare l’anomalia di tal modus relazionale, un essenziale passo avanti è partire, giustappunto, da tale sua consapevolizzata inconcludenza.
Massimiliano Barbin Bertorelli