L’uomo, per natura, è un inventore, la cui opera, con l’avvento del mito della Scienza, si è sempre più articolata ed espansa.
La contemporanea robotica, ma, ad esempio, anche le ordinarie calcolatrici da tavolo celebrano una felice applicazione dell’intelligenza umana, costituitasi col tempo in prodotti sempre più avveniristici. Fanta-scientifici, in molti casi.
Nella misura in cui tali “opere” assegnano all’uomo in tale ambito un ruolo di dominus, non può che decretarsi, nel comune opinare, la superiorità del “creatore” e, per differenza, l’inferiorità della “creatura”.
Sia come sia, con la presente trattazione, si protende nell’intento stravagante e contrario di voler invece evidenziare l’insistenza di maggiore intelletto nella “creatura”, piuttosto che nel “creatore”.
Ordunque, anche se è oramai pacifica per l’uomo la realizzazione di una “macchina” dalle prodigiose capacità di calcolo, tale specifica capacità non è posseduta in pari grado da colui che la realizza.
Resta indubitabile la qualità dell’invenzione, al punto persino da conferire alla macchina una forma di volontà. Nondimeno, va ribadito che le facoltà ad essa conferite non sono nel possesso di chi esercita l’actus creandi.
Malgrado ciò, la vulgata collega la “creatura” al “creatore” secondo una relazione di subalternità. Così, per analogia, nel noto affresco michelangiolesco della Creazione di Adamo, attribuiamo senza remore l’azione creatrice al Padreterno e non certo all’uomo, pur avanzando nell’ambiguità pittorica l’idea, vagamente eretica, di una condizione originaria che ne inverte i ruoli: che, cioè, possa essere stato Adamo a creare il Padreterno.
In tal senso, nella vastità di articoli riguardanti l’ intelligenza artificiale, si anticipa l’imminente replicazione di automi più intelligenti dell’uomo. Condizione tuttavia non esente dal pericolo, secondo Y.N.Harari, di trasformare l’uomo in una “classe inutile”.
Per concludere, tale idea ambigua e sovversiva di “uomo-creatore” ha il semplice intento di riflettere su ogni gratuita e presuntiva assegnazione di intelletto. Viepiù, in vista di quegli esiti tossici che l’intelletto umano, in quanto tale, non dovrebbe ricorsivamente manifestare nelle sue molteplici applicazioni.
Massimiliano Barbin Bertorelli