Pasticcio in procura a Genova. Secondo la Corte di Cassazione, tre libici finiti in carcere per 40 giorni nel 2016 dovranno essere ricompensati per ingiusta detenzione. In sostanza, secondo i giudici non c’erano abbastanza prove, ma solo sospetti.
I nordafricani erano stati fermati in porto a Genova la notte del 3 gennaio di due anni fa. Secondo l’ipotesi investigativa della procura, avrebbero potuto appartenere a una non meglio identificata “rete” attiva nel riciclaggio di auto rubate, con la finalità di svolgere quell’attività per finanziare il terrorismo dell’Isis e comunque di stampo jihadista.
Successivamente, però, gli indagati erano stati rilasciati per la mancanza di prove e l’inchiesta che li vedeva coinvolti era stata archiviata dopo alcuni mesi.
I nordafricani avevano quindi chiesto il risarcimento danni per ingiusta detenzione. Si tratta di circa 10mila euro a testa, più i danni di immagine, visto che del loro arresto si era parlato sui media, anche libici.
La Corte di Cassazione nei giorni scorsi ha annullato l’ordinanza della Corte di Appello di Genova che aveva respinto la richiesta di risarcimento presentata dal legale difensore di uno degli arrestati.
I giudici genovesi dovranno quindi di nuovo esprimersi, tenendo conto di quanto stabilito e spiegato dai giudici della Suprema Corte: “Il contenuto decisorio del provvedimento impugnato, oltre a non evidenziare alcuna condotta colposa del ricorrente che abbia potuto giustificare la misura custodiale emessa nei suoi confronti per il grave e specifico delitto di riciclaggio di autovetture rubate, si caratterizza per una evidente sopravvalutazione di circostanze descritte nel rapporto della polizia giudiziaria che non solo non autorizzavano alcun giudizio di gravità indiziaria in ordine al delitto ipotizzato, ma nemmeno mettono in luce comportamenti colposamente omissivi in grado di supportare, al di là di un semplice sospetto, valutazioni di merito idonee a fondare una accusa di carattere penale e comunque che si palesino sinergiche rispetto all’intervenuta misura cautelare”.