Anni di viaggi e di trasferte. “Più di mille, credo. Non le ho contate”. Da giocatore poi da dirigente. Una vita a pane e calcio. Le stagioni a sgobbare in campo. E quelle ad allenare il fiuto di talent scout. Per il ds Mario Donatelli il tempo non sembra passare. Il bagaglio di conoscenze è cresciuto, ma lo spirito è rimasto giovanile.
“Questo avvio di stagione è stato in linea con le aspettative. Siamo passati in Coppa Italia. Con Empoli e Bologna sono arrivate due vittorie meritate. Abbiamo accusato il passaggio a vuoto con il Sassuolo. Lì ci abbiamo messo del nostro per complicare la partita. C’è da lavorare, lo sappiamo”.
Nell’ufficio di Villa Rostan il lavoro si snoda spesso a contatto con il team di osservatori. Coordinato da Giampaolo Marcheggiani. “Per valutare un calciatore sono importanti le referenze. Sulla persona e sul giocatore. La valutazione della cifra tecnica, delle qualità cognitive, delle caratteristiche fisiche. La capacità di apprendimento. Ogni prerogativa è imprescindibile dall’altra per un esame approfondito. Poi ci sono le sensazioni che il giocatore trasmette e che giocano un ruolo importante. Sono soggettive. Ognuno vede il calcio a suo modo, al di là dell’evidenza dei fatti. Sono utili a cogliere particolarità che magari sfuggono”.
Dodici stagioni e mezza al servizio del Genoa, incastrando la prima alla seconda esperienza. Con un intermezzo nel settore giovanile da dove spuntano fior di talenti. La sede, il campo, lo stadio, la Nord. La famiglia Preziosi. “Il Genoa ha un fascino particolare, sono orgoglioso di esserci per l’anniversario dei 125. Per capire cosa rappresentino questi colori, al di là della grande storia del club, devi viverli da vicino e meglio se da dentro. Quando entri in contatto con questa realtà, capisci quanto valga e non ti abbandona più. Il Genoa è qualcosa che porti con te sempre. Ti entra nel sangue”.