Siamo davvero sicuri di sapere in che cosa consista il nostro “meglio”?
Siamo davvero sicuri, ad esempio, in tale arcano esistenziale, che una nostra ponderata decisione possa costituire, nel tempo, una migliore modalità di scelta, rispetto ad una delegata ad altri, viepiù quando questi “altri” neppure ci garantiscono intenti altrui-stici?
In effetti, potrebbe essere un’apprezzabile soluzione, tanto irrituale quanto rischiosa, esercitare la “delega in bianco” a favore di questa entità estranea che, inutilmente, tendiamo a marginalizzare e neutralizzare, tenendola a debita distanza. Una entità estranea alle cui mosse sottoporsi (considerando che l’etimo di “soggetto” é “sottoposto”), superando una ormai esangue e radicale diffidenza.
I fatti, infatti, tendono il più delle volte a smentire presunte certezze. In specie, quando la certezza è riposta solo ed unicamente in un singolo e scomposto operato e, in opposta misura, nella totale sfiducia che, per consolidata prassi, riponiamo negli altri.
D’altronde, a conferma della presente asserzione, in presenza di un esercizio consapevole di volontà, non si assisterebbe a certi desolati esiti, frutti di scelte totalmente personali ed ultra-meditate. Tutto ciò, a meno delle rosee aspettative e dei lieti programmi su cui tali scelte erano state confezionate.
Evitando una perniciosa akrasia, si desidera rintracciare il buono che può esserci nella casualità delle nostre scelte e negli “altri”, quali co-fautori della nostra sorte, in base ad una inconsapevole accettazione di talune volontà esogene.
Diciamo così che, pur entro contesti civili, quale che sia l’intento altrui, i fatti, infatti, potranno essere (anche) motivo di piacevoli sorprese, superando una scontata e comune visione orrorifica.
In tale frangente, non si male-intenda la possibilità di tale agire impersonale quale atto azzardato o rinunciatario, laddove in realtà rinuncia ed azzardo in questo caso sono orientati, più che al “provare per credere”, al “credere per provare”.
Massimiliano Barbin Bertorelli