Recital di due geniali irriverenti. Gaber sapeva prendere in giro se stesso e la sua appartenenza sociopolitica, prima dei suoi simili: ne vedeva i lati meno limpidi, o infantili, o paradossali.
Il rimpianto artista non poteva avere migliore interprete di Elio, acrobata del linguaggio e degli strumenti di comunicazione, esperto di testi suoi, in una parola un suo alter ego che lo ricalca conservando, “in libertà e rispetto” una sua originalità.
Un testo anche troppo attuale, che mette in scena una rassegnata decadenza, una neppure tanto celata paura della vita.
Un uomo che impersona il desiderio di molti di estraniarsi dalla lotta, di non affrontare reali problemi, compresi quelli di coppia, di allontanarsi da casa e ritirarsi in campagna per “stare tranquilli”.
Un uomo che interiorizza i propri sentimenti e desideri, incompresi dalle due donne della sua vita, una moglie accusatrice e pretenziosa che ricorda e rinfaccia solo le difficoltà, un’amante intraprendente e disinvolta, che vuole il sesso e soddisfacente ( ma quando le pare, non importa che lui sia disposto), che non vede problema se non sa ( o non vuol rivelare?) se la figlia bambina sia del protagonista o del marito, con il quale tranquillamente convive.
A sorpresa, in quella campagna linda e riposante, dove persino severi colonnelli in pensione sembrano tranquilli allevatori di polli, appare un rompiscatole, un topo che si mette a farla da padrone in una casa neppure finita. E vani sono tutti gli espedienti del protagonista, più o meno sottili o decisamente “crudeli”, di liberarsene.
Simbologie, note malinconiche e surreali che non ammettono sconti neppure per la propria persona, la voglia di un girotondo dove il mondo non “casca”, come quello dei giochi infantili, ma “cambia”.
Dissacrante parodia della vita, tra realtà ed incubi, tra sogni e metafore.
Ma il topo non lo uccidiamo perchè è troppo furbo o perchè ce lo vogliamo tenere, quale alibi su cui dirottare i mostri interni, le rabbie, le rappresaglie che non riusciamo a convogliare sugli umani che ci affliggono?
All’uscita dello spettacolo una signora sospira “Anch’io ho fatto questa vita per un mese, come lo capisco”. Chissà se la spettatrice non aveva capito o se voleva che gli altri non capissero…
Il Grigio resta al Teatro Duse fino a giovedi 5 ottobre
Elisa Prato