Se invertissimo il criterio col quale solitamente esterniamo le emozioni, forse potremmo maggiormente apprezzare certi importanti aspetti che, spesso, transitano inosservati.
In buona sostanza, se, per sortilegio o tradizione, da un dispiacere sortisse euforia e se, per converso, da un fatto allegro sortisse tristezza, potremmo, nella stupefazione degli astanti, qualificare bene la coerenza dell’umore rispetto al fenomeno in sé ed alla congruità del senso delle pertinenti risposte emotive.
Potremmo forse provare l’ebbrezza di un comportamento disallineato, inusuale, contro-tendente: come lo è appunto, rattristarci quando accade qualcosa di “bello” e rallegrarci quando accade qualcosa di “brutto”.
Potremmo riprendere, citando come fonte Erodoto, i popoli della Tracia che pare piangessero alla nascita dei figli e gioissero alla sepoltura dei morti.
Questo drastico svisamento e questa inusitata inversione di rotta indurrebbero una diversa concezione, anche in relazione alla effettiva qualità del sentimento temporalizzato presente.
Potremmo innovare e variare il solito emporio, dove l’esposizione usuale della merce si confà unicamente a certa ortoprassi, il cui utente-consumatore incarna necessariamente, e riproduce, le precise aspettative e le usuali tradizioni del mercato di appartenenza.
Nondimeno, (anche) l’appartenenza è un fattore casuale e genera ex sé il proprio motivo di essere, talché non è mai impossibile rivoluzionarne, volta per volta, gli elementi costituenti.
Per dirla con Sant’Agostino, “almeno una volta all’anno è lecito impazzire”, tenendo sempre presente che anche tutto ciò che è collegato al termine “pazzia”, e quindi all’umore in senso generale, ha subito, nel tempo, non poche rivoluzioni.
Massimiliano Barbin Bertorelli