Continuano le repliche de “Il cane senza coda“, che nelle intenzioni dell’autore Paolo Bonfiglio vuole essere la prima di tre opere dedicate al tema del “trapasso” e, al teatro della Tosse, apre il filone dedicato alla nuova drammaturgia contemporanea.
Da spettatore accanito ed attento, ma non certo acritico, mi chiedo per quale motivo le opere dei nuovi autori, per quanto forse attuali, difficilmente siano divertenti o almeno distensive, regalandoci solo, per ben che vada, sorrisi amari o cupe “riflessioni”.
Ma dove è finito quel buon teatro che castigat ridendo mores? Il nuovo teatro molto spesso rappresenta e carica gli aspetti peggiori del vivere, per cui il beneficio che ne ricava lo spettatore è quello di stemperare l’effetto catartico con un melanconico “vabbè, ma tanto è teatro.”
Anche stavolta niente risate di cuore, si soffre in silenzio insieme al protagonista: al massimo strappano un sorrisetto le macchine dalla voce di metallo inesorabilmente mal funzionanti e autoindulgenti, con cui ognuno di noi si è misurato almeno una volta (al mese, all’anno?).
Fin dall’inizio si respira un clima surreale, gelido come la sala d’aspetto ferroviaria livida ed arrugginita della scena.
Un uomo aspetta un treno che non arriva; un uomo che pare arrivare da un altro pianeta, con un abbigliamento troppo leggero, il biglietto da fare, una meta non troppo precisa, un bisogno fisico impellente.
E mentre cerca una soluzione a tutto questo, ripercorre il suo vissuto, sembra, di poeta fallito, delle sue molte paure, della guerra, dell’autorità, del mal tollerato quotidiano, delle sue stesse incertezze di poter sopravvivere.
La sala d’aspetto è un insieme di macchinari guasti e petulanti, mentre un altoparlante dai messaggi surreali pare esserci apposta per incrementare il suo smarrimento: già, la tecnologia serve quando è diretta e manovrata dall’azione umana, non certo quando ci domina e purtuttavia sembriamo ansiosi di assecondarla.
Tutto sembra contro il nostro protagonista, dagli strani incontri (una donna muta, un cane scostante) al controllore autoritario ed ottuso: perfino i sogni-incubi che arrivano mentre, stremato, si addormenta.
Vivere come un coniglio o morire come un cane? Ahinoi, purtroppo neppure il vivere da leoni, o meglio, con dignità umana, esclude una morte solitaria, anzi… Un dramma del vivere in orizzontale, livido e surreale, con rappresentazioni oniriche artisticamente riuscite, non privo di pirandelliane reminescenze (ricordate il treno che non si acchiappa mai de “L’uomo dal fiore in bocca”?).
Del tutto all’altezza l’interpretazione, la regia, la colonna sonora.
Il cane senza coda resta al Teatro della Tosse fino a domenica 4 novembre, con inizio alle 20,30, la domenica alle 18,30.
Elisa Prato