“In un primo momento avevo pensato che la causa del crollo del Ponte Morandi fosse la corrosione degli stralli. Poi, vedendo alcuni video, ho iniziato a ipotizzare che a far collassare il viadotto potrebbe essere stata la caduta del rotolo di acciaio trasportato dal camion passato pochi secondi prima”.
E’ la sintesi di quanto riferito oggi in procura a Genova dall’ingegnere Agostino Marioni, ex presidente della società Alga che si occupò dei lavori di rinforzo della pila 11 nel 1993, convocato a testimoniare dai pm come persona informata dei fatti. L’ingegnere, oltre a occuparsi di una parte del ponte poi crollato, per anni ha eseguito lavori su richiesta di Autostrade.
In altre parole, sembra che nel mirino continui a esserci il pesce più piccolo. Perché, almeno finora, non risulta affatto che l’autista del Tir sopravvissuto e altri testimoni abbiano mai riferito, almeno pubblicamente, di essersi accorti che poco prima delle 11,36 del 14 agosto scorso una grossa bobina d’acciaio fosse caduta da un Tir in transito sul Ponte Morandi.
Tuttavia, nelle scorse settimane, i Tir trovati distrutti sul greto del Polcevera sono stati sequestrati dalla procura ed era stata fatta circolare l’informazione che un grosso camion, precipitato insieme agli altri, avrebbe sfiorato il peso di carico massimo (circa 440 quintali quando il limite di legge è di 462 quintali).
Alla guida c’era Giancarlo Lorenzetto, 55 anni, uscito miracolosamente illeso dal tragico crollo, che lo scorso settembre era stato intervistato dal Corriere della Sera: “Avevo caricato all’Ilva di Genova e stavo andando all’Ilva di Novi Ligure, verso Sampierdarena quindi. Superato il pilone nove, ho saputo dopo che era il nove, davanti a me si è aperta la strada e mi sono sentito risucchiare all’indietro. Ho chiuso gli occhi pensando che fosse finita. Mi sono ritrovato giù, appeso alla cintura di sicurezza e per fortuna che l’avevo allacciata…è successo proprio 5-6 metri davanti a me…”.
Inoltre: “Che sia stato proprio il mio (mezzo, ndr) io non lo posso sapere, saranno i tecnici a dirlo. Io avevo comunque una portata regolare e per questo mi hanno fatto entrare in autostrada. Dovevano assicurarsi loro che il ponte fosse a posto. Paghiamo più di 100 mila euro l’anno di pedaggi. Ma poi l’Ilva non ti lascia mai uscire dagli stabilimenti se il carico non è nei limiti”.
Insomma, di bobine o rotoli d’acciaio persi per strada sul ponte al momento non ci sarebbe neanche l’ombra.
Il teste chiamato dai pm genovesi ha poi sostanzialmente precisato: “Secondo i calcoli che ho fatto, se il Tir che viaggiava a una velocità di circa 60 chilometri orari avesse perso il rotolo pesante circa 3,5 tonnellate, avrebbe sprigionato una forza cinetica pari a una cannonata. Verificarlo è semplice. Basta controllare se sulla bobina ci sono tracce di asfalto. Quel che resta del viadotto non va demolito. Sarebbe come demolire il Duomo di Milano perché è crollata una guglia”.
Solo che il Ponte Morandi non è senz’altro paragonabile a un’opera architettonica di valore come il Duomo di Milano e una guglia crollata, a memoria d’uomo, non ha mai fatto 43 vittime innocenti. Inoltre, un viadotto autostradale è solo un ponte, dove tutti i giorni passano auto e camion, che dovrebbe essere costruito e mantenuto a dovere affinché non crolli mai. Altrimenti, andrebbe subito chiuso e messo a posto.