Il debutto di “Aida” è l’evento memorabile della prima domenica di dicembre, salutato dai fuochi della Regione e da un teatro Carlo Felice al completo.
In questa versione dell’opera la scenografia è virtuale: ciò ha permesso di realizzare scenari quasi impossibili a farsi con l’ uso dei moduli della scena tradizionale, sfondi grandiosi in cui si contemplano tutti e quattro gli elementi vitali del fuoco, dell’acqua, della terra e dell’aria.
Immagini che offrono un ulteriore supporto all’impatto emotivo dei sentimenti trasmesso dall’opera. Se è vero che nell’opera lirica la musica accompagna e avvolge il sentimento che esprime il testo, è palese che Aida è un’eroina che racchiude sentimenti forti e trattenuti, quasi impossibili da vivere allo scoperto, alla luce del forte sole egiziano e delle usanze dell’epoca. Anche Radamès rivela aspetti di rassegnazione al destino non proprio attribuibili al temperamento di un condottiero. Un’opera da camera, così la definì Riccardo Muti.
In Aida non ci sono cabalette che possono spezzare quest’aura di ineluttabili destini che il pubblico percepisce, è una tragedia di anime, intimista, anche se si svolge all’aperto. La musica di Verdi appare più sommessa del solito, come se volesse accompagnare, rispettare la sofferenza dei protagonisti; egli scrive al librettista e impresario Du Locle: “bisogna che mi riservi tempo a comporre l’opera… perchè bisogna che il poeta italiano trovi prima i pensieri da mettere in bocca ai personaggi e ne faccia… poesia”.
Il temperamento patriottico vigoroso e trascinante di Verdi, stavolta prestato all’Egitto, esplode praticamente solo nella famosa marcia.
La storia di Aida ricorda quella di un altro amore proibito, quello di Norma. Ambedue amano in silenzio un uomo d’armi eccellente che non dovrebbero amare, perchè nemico della loro patria; ambedue sono rivali in amore dell’ amica, ambedue scelgono la morte.
Ma Norma si prepara all’estremo saluto da essere dominante, pianificando il futuro; Aida muore vicino all’uomo che ama da schiava, da sottomessa, e schiava si è sempre sentita fin dalla manifestazione del sentimento verso Radamès, che la furba e sospettosa Amneris riesce a farle rivelare.
D’altra parte, se Aida fosse rimasta in vita, l’aspettava una sorte ben grama considerando che la rivale era una potente faraona che avrebbe voluto salvo Radamès, ma per sé; non potendo avere l’amore, prega sacerdoti e dei ma non si impegna davvero per salvare l’uomo. Non riuscendo a possedere il giocattolo, Amneris infantilmente lascia che si rompa: solo quando tutto è finito invoca una pace improbabile.
I cantanti lirici della prima si sono dimostrati all’altezza di questo cimento. Un plauso alle interpreti femminili, in particolare Svetla Vassileva, valida sia artisticamente che nel bel fisico adatto al ruolo. Il Radames di Marco Berti attacca con qualche incertezza, subito superata quando la voce si scalda nell’iter dell’opera.
La regia, affidata ad al bravo baritono “buffo” viterbese Alfonso Antoniozzi, gioca in casa e non poteva essere che abile e convincente.
Tornando alla videoscenografia, si annotano momenti di immersione quasi mistica nella rappresentazione da inferno dantesco che circonda l’invocazione a Fthà.
Un plauso meritano le coreografie, balletti plastici e magnetici che inseriscono uno spettacolo nello spettacolo; un encomio merita anche la scelta di far suonare le trombe della marcia trionfale dai palchi laterali, dettata, penso, dal talentuoso direttore d’orchestra Battistoni. Sempre suggestivo il gioco in orizzontale e verticale dei due palcoscenici.
Aida resta al Carlo Felice fino al 16 dicembre.
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L’opera di Giuseppe Verdi ( 1813-1901) è pervasa da personaggi appassionati e vitali, inseriti in vicende intense, nelle quali i protagonisti hanno modo di mostrare sentimenti e contraddizioni con grande forza espressiva. D’altra parte il compositore era nativo della laboriosa e generosa provincia parmense, cresciuto tra persone semplici ed autentiche, cosa che gli permise di veder chiaro nell’osservazione del vissuto e di porgerlo in musica attraverso una visione concreta e volutamente innovativa.
Nell’anno 1869 arrivò a Verdi, già all’apice della fama, la proposta del Kedivè d’ Egitto di scrivere un’opera di argomento egiziano per il nuovo Teatro dell’Opera del Cairo, sorto in occasione dell’apertura del canale di Suez, avvenuta nello stesso anno. Verdi esitò, ma alla fine, nel 1870, fu convinto da un sunto di una storia proposta dall’egittologo francese Mariette, sottopostogli dal Direttore dell’Opera parigina, Camillo Du Locle.
La trama si snoda sull’amore di Radamès, condottiero egizio, promesso alla figlia del Faraone, verso la schiava Aida, appartenente al popolo degli Etiopi, che minaccia l’Egitto e che Radamès combatte. L’amore è contrastato praticamente da tutti i potenti che gravitano intorno a loro, sacerdoti e parenti. Alla fine Radamès rivela ingenuamente un segreto militare e perciò è condannato ad essere sepolto vivo: Aida lo segue nella tomba. La rappresentazione dell’Aida dovette essere rinviata per la guerra franco-prussiana, che portò alla caduta di Napoleone III e all’occupazione di Parigi. Finalmente rappresentata trionfalmente al Cairo il 24 dicembre 1871, pervenne l’anno successivo alla Scala. (Foto di Marcello Orselli)
Elisa Prato