Si può assegnare una quota, anche consistente, di “fiducia personale” a chi, intrattenendovi un qualsivoglia tipo di relazione affettiva, si dimostra palesemente in balia di propri egoistici “bisogni”?
Una risposta positiva ed istintiva al quesito innerva il sensato dubbio di attribuire “fiducia” a chi, anche dissimulando una condizione risolta e pacificata, disvela tuttavia, nel comportamento quotidiano, un esercizio costantemente desiderante.
Tale circostanza condizionata, in cui l’individuo si orienta in una visione univoca e strumentale della realtà e del prossimo, non consente un sufficiente soddisfacimento dell’idea della condivisione.
Comunque sia, nonostante ciò, assegnare fiducia al prossimo, più che un’opzione, è una esigenza. Malgrado ogni intento diffidente e contrario, ciascuno elargisce, più o meno volontariamente, fiducia a piene mani, tanto nelle proprie relazioni affettive, tanto nelle diverse relazioni di scambio.
Il fatto che, talvolta, la fiducia possa rivelarsi mal riposta (e ciò può accadere a prescindere dalla qualità singolarmente attribuita e/o percepita) non implica, per induzione, una sua ostracizzazione ergo omnes, tale da assimilarsi, nella diffusività, alla papale benedizione urbi et orbi.
In specie, la trattazione riguarda l’intenzionale ingenuità di assegnare fiducia ad un soggetto, le cui “priorità” sono palesemente immiscibili, quantomeno in periodico attrito, con le nostre. Ed il materiale derivante da tale alchemica mescidazione non può che costituire un edificio dalla struttura incerta e traballante.
In soldoni, il bisogno individuale, mentre sospinge in una precisa direzione ed elegge ed adegua un comportamento conseguente, diviene una priorità, che fa assumere ad ogni altra, in quel momento, un ruolo ed una posizione secondari, marginali.
In tal senso, il segnale della presenza di priorità reciproche e collimanti è leggibile già nella stessa non-necessità di imprimere ai singoli “tasselli” sforzi sovrumani per tenerli insieme.
Per converso, il segnale della loro inconciliabilità è già leggibile proprio in tutte quelle imprese titaniche che ricordano lo “sforzo sterile” e la “consapevole perseveranza” di Sisifo, scomodando Camus.
Massimiliano Barbin Bertorelli