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La Bohème ha debuttato al Carlo Felice, che profumo di giovinezza

La Bohème ha debuttato al Carlo Felice, che profumo di giovinezza

Circa sei mesi dalla prima de La Bohème al Teatro Regio di Torino, un esausto Giuseppe Giacosa scriveva all’editore Ricordi “… di questo continuo rifare, ritoccare, aggiungere, correggere …sono stanco morto. Se non fosse per il bene che voglio a Puccini me ne sarei liberato in malo modo…”

Quest’episodio la dice lunga su come Puccini sentì sua quest’opera e come la volle in qualche modo vestire di se stesso.

La Bohème ha debuttato al Carlo Felice, che profumo di giovinezza

Si era cominciato nel 1893 a tradurre in opera “Scènes de la vie de bohème” di Murger, disegno al quale si dedicò anche Leoncavallo; i librettisti Illica e Giacosa dovettero faticare non poco per arrivare a mettere insieme un testo che soddisfacesse Puccini, che lo musicò negli otto mesi successivi. Un tempo relativamente breve.

Si voleva arrivare a creare un atmosfera malinconica di freddo e di solitudine attorno a Mimì e Rodolfo e anche le caratteristiche ambientali (dalla finestra doveva scorgersi una distesa di tetti coperti di neve) furono studiate in funzione degli stati d’animo.

La Bohème ha debuttato al Carlo Felice, che profumo di giovinezza

In una gelida soffitta vivono Rodolfo, poeta, e Marcello, pittore. Mentre gli amici vanno al Quartiere latino per festeggiare un’entrata in denaro di uno di loro, bussa alla porta di Rodolfo, rimasto in casa a scrivere, una vicina, la ricamatrice Mimì, per riaccendere il lume. I due giovani si presentano, raccontandosi a vicenda mediante due famosissime arie, belle tanto per la musicalità quanto per l’intensità poetica che traspare dal testo  (“Mi chiamano Mimì”, “Che gelida manina”).

Nasce un sentimento destinato a non proseguire per la cattiva salute di lei. Mimì tornerà nella  soffitta, circondata dall’amore di Rodolfo e dall’affetto degli amici, quando purtroppo, fiore senza più profumo, come lei stessa definisce i suoi ricami, la tisi non le lascerà più tempo per vivere il suo sentimento.

La Bohème ha debuttato al Carlo Felice, che profumo di giovinezza

La soffitta, con un male prettamente ottocentesco, apre e chiude il dramma esistenziale di Mimì, un luogo sia reale che simbolico in cui si svolge la sua vana speranza d’amore: lei, come gli altri personaggi, sono soli, ma la gioventù e la fiducia nell’amore e nell’amicizia offrono la spinta per superare la solitudine.

Toccante la gara di solidarietà che si svolge intorno al suo letto, chi vuol vendere gli orecchini, chi il cappotto per darle un momento ultimo di serenità.

Con quest’opera Puccini si distacca definitivamente dal teatro lirico romantico cambiandone la concezione dell’amore, che è rappresentato come un valore in sé, mentre i personaggi non sono più titanici ma quotidiani: egli racconta la vita come davvero è, non ha bisogno del dramma per  bucare la custodia dell’anima dello spettatore.

Lo scrittore Enzo Siciliano (1934-2006) spiega così la causa del nostro coinvolgimento emotivo, insieme al senso forte di autenticità espresso dalla musica di Puccini: “la giovinezza è un momento del vivere, splendido per inconsistenza e non per altro, così che quando pare d’averlo afferrato, sparisce”.

E alla giovinezza, spesso ormai passata, ogni spettatore istintivamente ritorna.

La morte di Mimì sembra porre la parola fine al vivere senza progetto di vita, che presenta sempre il conto, allo stadio “estetico”, per dirla con i filosofi.

Nell’attuale interpretazione del Carlo Felice, l’attenzione di Puccini verso l’aura patetica che volle infondere al libretto è mediata ed attenuata dalla scenografia ed i costumi multicolori di Francesco Musante e dalla regia di Augusto Fornari. che distoglie un poco, a percezione, l’attenzione del pubblico dalla pregevole prestazione  degli artisti e della conduzione dell’orchestra.

Scenografie bellissime, fiabesche, incantate, che riportano l’attenzione di chi guarda verso la parte giocosa e speranzosa degli impulsi giovanili, nonché verso l’atteggiamento del giovane artista di vivere un quotidiano che poco guarda al domani e ne sottovaluta le difficoltà ed i pericoli per la salute. Bambini troppo cresciuti che si contentano dell’oggi, che giocano, senza avere e, in fondo, senza cercare davvero un lavoro stabile.

Una concessione al lato più malinconico, la tinta livida delle pareti della soffitta: ma solo questa perchè il gioco e l’effimero sono immediatamente e prepotentemente richiamati con l’abbigliamento pagliaccesco dei giovani occupanti. Anche se, in tutta franchezza, il fucsia acceso del vestito di Mimì lascia perplessi.

Esteticamente incantevoli, anche se possono essere percepiti come quadri a sé stanti, le scene, i costumi e l’animazione dell’affollamento di adulti e bambini intorno al Caffè Momus, inseriti nel caos, volutamente disorganizzato  e caratteristico di Puccini, del coro degli studenti.

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La sera della prima al Regio di Torino (1 febbraio 1896, direttore  dell’orchestra Arturo Toscanini) Puccini passeggiava inquieto per le quinte.  “Stavolta ha sbagliato, povero maestro”, questo era quello che  gli si diceva alle spalle. Nonostante i calorosi applausi finali il Nostro non riusciva  a cancellare un malinconico presentimento, che molti critici fossero venuti a teatro per partito preso. Ma Toscanini tagliò corto: “quest’opera ti renderà celebre in tutto il mondo”.Infatti l’opera ebbe successo  a Roma e  trionfò a Palermo, a tal punto che il maestro Mugnone fu costretto a riattaccare per rispondere alle pressanti richieste di bis.  Mimì si era tolta la parrucca, Rodolfo si era levato i baffi: ma si riattaccò lo stesso e fu ripetuto tutto  il finale! Da allora il trionfo della Bohème dura interrotto in tutto il mondo…

La Bohème, dopo l’interruzione a favore di “ Cenerentola”, ritorna al Carlo Felice dal 27 al 29 dicembre.

Elisa Prato