Il tempo ha scolorito la scritta sulla targa. Non il dolore per “Claudio” passato di mano, una staffetta lunga 25 anni, come un testimone da stringere forte.
“Ricordate, ragazzi: non si può perdere un figlio così. O un fratello. Per una partita di calcio… Grazie di essere venuti”. Cosimo Spagnolo ha i fiori tra le mani. Ha visto crescere l’orto della casa dietro Begato. Ma lui e la moglie Lina non hanno visto crescere il loro Vincenzo. Oggi c’è la commemorazione come ogni 29 gennaio. Gli occhi sono lucidi. Come i pensieri appesi alla vita e davanti a quegli striscioni che riempiono le inferriate sul piazzale. C’è la sorella Romina, ci sono famigliari, parenti. I compagni di allora e di gradinata. A fianco c’è Gianni. Il vicepresidente Blondet, la mano protettiva che si posa sulle spalle. Le mani, già. Quelle che si alzano per scandire i cori. “Claudio Spagna alè”, perché “un grifone non muore mai”. Le mani di quelli passati di qui. Ce n’è traccia sugli adesivi delle colonnine di metallo, sorreggono la targa (“morto per mano assassina e antisportiva”) e puntano verso il cielo. “La violenza non deve esistere” mormora papà Cosimo. Un filo di voce per un dolore che non si scioglie. I cori, le corone. Gli amici. Poi si passa di là. Largo 7 Settembre 1893, la data di nascita del Genoa e del football da noi. Di lì in poi c’è la Nord. Altre mani che si stringono, altre targhe che non dimenticano. Il secondo tempo. “Vivere nel cuore di chi resta non è morire” si legge. La scritta è rimasta. Il tempo non se n’è andato.