Nano Morgante. L’intenzione di dare un’interpretazione alla categoria valoriale della “saggezza” e di assegnarla, con encomio, alla gallina, non deve far pensare ad un trasalimento della ragione. Né di trovarsi a leggere un trattatello sulla vita dei pennuti da cortile.
L’obiettivo, modesto e ambizioso nel contempo, è considerare in se stessa la categoria della saggezza quotidiana. E di porre il dubbio sulla possibilità che l’essere umano sia davvero in grado di servirsene al meglio, secondo quanto la Natura gli ha teoricamente concesso.
La questione ri-emerge dal fitto della nebbia e vorrebbe assumere chiarezza d’impostazione e di obiettivi, poiché l’ attenzione non si concentra sulla gallina, come inizialmente sembrava, bensì sull’uomo: su tale espressione vivente, privilegiata di intelletto, e su tutto ciò che ne consegue in termini dell’agire.
Osservandone il comportamento quotidiano, l’uomo parrebbe in realtà fare del proprio intelletto un uso “pulito”, con un significato simile a quello con cui J.S. LEc definiva una coscienza “pulita”: “mai usata prima”.
La riflessione rispolvera ambiti che è improvvido liquidare comodamente con una risata.
E’ risaputo infatti che la gallina, animale alato, non vola. E che, se anche volesse volare, riuscirebbe a coprire solo pochi metri.
Poiché lo sforzo non varrebbe l’impegno, la sua “saggezza” ha operato in modo di accettare di buon grado il suo modo, altro rispetto a quello dell’albatros, della rondine e di molti altri suoi simili.
Tuttavia, nei rarissimi esemplari di gallina ancora circolanti in qualche rarissima aia, si può ancora notare quel suo misterioso tentativo di decollo, la rincorsa improvvisa e il repentino atterraggio. Un brevissimo volo che bene identifica la sua condizione e che, malgrado ciò, non le impedisce una propria condizione pacificata.
Su ben altri fronti e prospettive si adopera l’essere umano, sempre proteso nell’idea di essere “altro & meglio”, sempre desideroso di superare i propri limiti e ben distante dalla “saggezza della gallina” e da un intelletto in cui trovare solido e stabile giaciglio.
In coerenza al dato, egli tende ad osservare il fuori, piuttosto che il dentro di sé. Da tale elementare considerazione, se ne può dedurre, tra l’altro, l’incapacità di accettare, di fare spallucce e di valorizzare i propri “limiti”.
In via conclusiva, al dono dell’intelletto l’uomo non attinge. E non riesce a rifuggire ogni idea adulterata di sé.
Ritengo che ciò di cui qualunque essere umano è interiormente corredato sia sufficiente alla sua serena esistenza. E che ogni divergenza forzosa di rotta ricorda “la potenza senza controllo” di una pubblicità di pneumatici.
La potenza umana è fondata sull’intelletto, di cui è opportuno avere contezza. Quando non la si possiede, allora accadono quei momenti parossistici, quelle laceranti compulsioni, quegli spasmi d’ambizione, quegli sbandamenti di rotta, cui giornalmente, tragicamente, assistiamo.
Massimiliano Barbin Bertorelli