Gli spettacoli dal vivo a Nervi stanno andando alla grande. I dati delle prime due serate del “Festival Internazionale del Balletto e della Musica”, ospitate nella magnifica cornice del Teatro ai Parchi, hanno registrato circa 900 persone a spettacolo in una platea che dispone di 1.000 posti sistemati a rigorosa distanza di sicurezza.
Sabato 18 luglio, dopo i saluti iniziali di prammatica, il concerto Mario Biondi Live inizia alle 21.30, mentre calano le luci della sera e il mare è ancora ben visibile a fare da sfondo naturale al palco e all’orchestra.
Il cantante, compositore e arrangiatore siciliano Mario Ranno (Catania, 1971), noto con un cognome inventato e già usato da suo padre, implora ironicamente il pubblico: “Aiutateci, non suoniamo da sei mesi: siamo arrugginiti!” Questa di Mario Biondi, per la gioia dei suoi fan, è l’unica tappa del tour italiano, prima di riprendere auspicabilmente il giro d’Europa.
Anche a lui il lockdown ha insegnato ad adattarsi, a essere maggiormente riflessivo, in attesa della pubblicazione dell’ultimo album, mentre è uscito il brano dal titolo ottimista, Paradise, dove la sua voce sembra quella di Barry White.
Sì, perché Mario Biondi, come si dice, possiede una voce “black” che ha del prodigioso. In più, conosce bene l’inglese, lingua in cui abitualmente canta, e la sua anima soul / jazz trova un’affinità naturale con i suoi primi, potenti ispiratori come Ray Charles.
A sinistra sul palco si schierano il batterista e, davanti a lui, il polistrumentista (percussioni / tamburi / chitarra / flauto traverso), autore e compositore David Florio (Milano, 1973); a destra, chi suona il violoncello elettronico; il sassofonista; chi suona la tromba e, infine, il pianoforte a coda.
Nel mezzo dell’orchestra, lui si erge vestito interamente di nero, con gli occhiali scuri e tondi, un filo di barba grigia, gli orecchini. Porta stivaletti, pantaloni aderenti, una cintura dalla borchia metallica, una camicia a maniche lunghe e un gilet che luccica a distanza.
È visibilmente felice di tornare a esibirsi, come lo è il pubblico di vederlo e ascoltarlo dal vivo. Inizia con Sunny Days e prosegue alternando canzoni anche di altri autori, come quella di un padre che parla dell’assenza della propria figlia, o quella in omaggio a Freddy Cole, il cantante jazz – fratello del più celebre Nat King –, mancato proprio quest’anno a giugno, all’età di 88 anni, di cui riprende Rio de Janeiro Blue.
Dall’album “Brasil”, del 2018, Biondi interpreta il brano Rivederti, con il quale ha partecipato quell’anno al Festival di Sanremo: “I ricordi che mi legano / Ad un passato vissuto ormai / (…) Viviamo oggi nel presente, vuoi?” Tra una hit e l’altra il cantante alterna battute e imitazioni simpatiche di Fantozzi. Quindi si lancia sulle note di Prendila così, dall’album “Una donna per amico”, del 1978, del grande Lucio Battisti.
A un certo punto, nella sua brillante conduzione del concerto, incita il pubblico a cantare e a battere le mani a ritmo. “Come state? Temperatura? Umidità?” e aggiunge – lui che è praticamente calvo: “Mi aspettavo che il vento qui mi portasse via i capelli! Mi aspettavo un refolo alle spalle”. Chiede alla regia di mostrargli fin dove arrivano gli spettatori e fa illuminare la platea fino in fondo al prato di Villa Grimaldi Fassio. Tutti lo salutano e applaudono.
Mario Biondi dichiara di sentirsi fortunato: “nato libero” e “apprezzato per la naturalezza” con cui esprime la sua musica. Racconta del progetto di “If”, il suo secondo album di inediti, uscito nel 2009 con l’appoggio di Renato Zero, che gli ha messo a disposizione il suo studio.
Ritorna sul palco indossando foulard nero a pois e cappellino nero con visiera. Invita il pubblico a ripetere con lui il ritornello del brano del 2013: “I don’t know, baby, oooo baby, “I don’t know what you’ve done to me”, ma gli spettatori genovesi e liguri, si sa, rispondono poco, perché sono timidi (o non sanno l’inglese). A seguire, l’assolo strumentale con la chitarra elettrica di David Florio è un pezzo di bravura.
Poi, ritorna il momento del pubblico. Biondi ci riprova e, quando dice: “One, two”, la platea deve rispondere a ritmo: “One, two, three, four”. Intanto, cambia ancora abbigliamento, e si presenta in scena con maglietta e giacca nera. Con la ripetizione di Shalala lala la la ci culla tutti come un’onda del mare.
“Il cielo stellato è fatto di abitazioni, stasera”, – confida –, “di lampade, fari e faretti” accesi sulla collina che da Nervi sale a Sant’Ilario. La malinconia innesta la sua personale interpretazione del celebre pezzo del 1960 di Bruno Martino, Estate: “Odio l’estate / Il sole che ogni giorno ci scaldava / (…) l’estate che ha creato il nostro amore”. Per rimanere negli anni ’60, David Florio fa seguire la canzone che Fred Bongusto scrisse a 18 anni in napoletano, Doce, doce.
Quindi, Biondi prepara il gran finale: modula la sua voce suadente su My girl (“I’ve got sunshine”…), utilizzando uno spettro amplissimo di stili vocali – ma come fa? –, alti e bassi, profondi e gutturali, ruvidi e morbidi, pazzescamente tridimensionali. Dalla platea, su invito da parte sua a ripetere (stile sfida dei Blues Brothers), ci si accorge di quanto arduo sia seguirlo. Sono ormai le ore 23,15, anche se nessuno vorrebbe che la serata finisse. Nemmeno lui.
Linda Kaiser