Le frequentazioni sociali stereotipate mi annoiano. In specie, la massiva presenza di individui che, in quest’epoca dell’apparenza e dell’omologazione, nella loro facile reperibilità, non perdono occasione per auto-celebrarsi.
Proponendosi come esemplari unici, altro non fanno che proporre identiche versioni di sé, secondo modelli, cliché, gusti, comportamenti sapientemente indotti dal mercato globale.
Preferisco ricondurre a zero tali frequentazioni, non solo renderle episodiche e di breve durata. Di esse, tratta la prima esperienza, tendo a conservare il ricordo di una estranea verbosità, della spontaneità assente, della pochezza emotiva, di una hybris che costringe ad una costante esposizione da vetrina.
Il ricordo ha, in questo caso, la funzione vivida e preziosa di inibire la replicazione di un nuovo evento, sebbene sia ragionevole assegnare ad ogni nuovo scenario nuova speranza e nuovo entusiasmo. D’altronde, ogni circostanza, pur nel suo sembrare simile ad altre precedenti, mai ne é la copia.
Sia come sia, taluni argomenti e talune monologanti millanterie affermano solo una irrilevante epica personale e/o familiare e raccontano esistenze come “somma di pretese riuscite astuzie”, citando Elias Canetti.
Una matrice educativa vanesia di cui sono intrisi certi contesti borghesi o, comunque sia, imborghesiti, che ottimamente si presta a soporifere narrazioni araldiche.
Una replicante tipologia che intesse relazioni sociali come mezzo di affermazione personale e/o di business: ben distante dall’idea dell’individuo come “essere spirituale che vive un’esperienza umana”, scomodando Pierre Teilhard De Chardin.
Per destreggiarsi in mezzo a questa farisaica quota di umanità e fronteggiare certi cialtroneschi intrattenimenti, è utile cambiare aria: lasciare che le amicizie si consolidino per pura “legge di attrazione”. In sintesi, “meglio che stiano sulle loro che sulle mie”, citando Aldo Busi.
Nondimeno, accanto al sopore che questo comportamento genera, si assomma il vizio irrinunciabile per la moderazione, per una forma edulcorata ed artificiosa di comunicare.
Non mi ispira né convince la provocazione di Ernst Junger: “meglio gangster che borghesi”, nondimeno mi dileguo dalla vacuità di atteggiamenti prevedibili: da una tela che, dalla prima stesura di colore, già svela l’oggetto e la qualità del dipinto.
Massimiliano Barbin Bertorelli