“L’idrossiclorochina è un farmaco noto e usato ampiamente da decenni in tutto il mondo, sia per la malaria che per le malattie reumatologiche. Se somministrata a dosi basse e per brevi periodi ha un profilo di rischio basso: infatti, si somministra anche alle donne incinte”.
Lo ha dichiarato ieri sera la deputata M5S Leda Volpi, che dal 2017 è dirigente medico ospedaliero presso l’Asl1 Imperiese nel reparto di neurologia dell’ospedale di Sanremo.
“Durante la prima ondata di Covid-19 – ha aggiunto Volpi – molti medici di medicina generale italiani l’hanno somministrata ai pazienti in fase domiciliare.
A Piacenza ed Alessandria, ad esempio, sono state raccolte casistiche con buoni risultati (pochissimi pazienti sono peggiorati richiedendo l’ospedalizzazione).
Tuttavia, a seguito di uno studio pubblicato su Lancet che ipotizzava eventi avversi importanti (poco dopo ritirato per ammissione da parte degli stessi autori di aver falsificato i dati) e di risultati contrastanti nella letteratura scientifica (alcuni depongono per effetti positivi, altri per effetti scarsi), a maggio è stata vietata la somministrazione del farmaco nei pazienti con Covid-19.
Leggendo però attentamente questi studi, emerge come gran parte di essi siano viziati nel metodo e soprattutto riguardino pazienti in fase avanzata di malattia (già ospedalizzati).
L’esperienza dei nostri medici sul territorio, però, suggerisce che l’idrossiclorochina vada utilizzata precocemente, quando il paziente al domicilio inizia a manifestare i primi sintomi (febbre, tosse persistente, difficoltà respiratoria).
In effetti, considerando il meccanismo d’azione, questo è verosimile perché l’idrossiclorochina ha, in generale, un effetto antivirale e immunomodulante, mentre non dovrebbe avere efficacia dopo che si è instaurata la tempesta citochinica (quella che determina il grave peggioramento che porta alla necessità di terapia intensiva).
Da mesi, insieme ad altri colleghi medici, sostengo l’importanza di avere un protocollo terapeutico chiaro e nazionale per i medici di famiglia.
In attesa di ciò, viste le esperienze di molti medici sul territorio, diamo una possibilità all’idrossiclorochina, disegnando studi in fase domiciliare per dimostrare se veramente può essere d’aiuto. Peraltro, molti Paesi (Cina, Germania, alcuni stati degli USA) la stanno somministrando.
Indubbiamente, ci troviamo di fronte a una malattia nuova e quindi le evidenze scientifiche si stanno costruendo piano piano, perciò è doveroso prendere spunto dall’esperienza sul campo e verificare.
Teniamo presente che in questo momento per i pazienti in fase domiciliare non abbiamo farmaci e che i nostri medici combattono a mani nude il virus, motivo in più per non farsi prendere né dal pregiudizio né dalla speculazione politica.
L’idrossiclorochina non deve avere colore politico: verifichiamo le sue potenzialità agendo con onestà intellettuale per il bene della popolazione”.