Adagiata sulla sponda del mare, appoggiata al declivio di alti e verdeggianti monti, Genova non poteva non essere fornita di molte, anche se non abbondanti, fresche e pure acque sorgive
che i suoi industri abitanti raccoglievano ed usavano nei più svariati bisogni pubblici e privati, nel mentre provvedevano a coprire i vari ruscelli che, scendendo per le diverse vallette, intersecavano la città per finire alla spiaggia.
Molte, pertanto, erano le fontane in città, delle quali però non poche alimentate dal pubblico acquedotto, opera grandiosa dei nostri avi: tante e di tale importanza per la vita della popolazione, che appositi soprastanti, dei quali si ha memoria ab antiquo, erano incaricati di provvedere che le acque vi scorressero abbondanti.
Giovanni Maria Cattaneo, nel poemetto Genua (principio del secolo XVI) illustrato dal Bertolotto, vi accenna con queste parole che ricavo dalla traduzione del dotto commentatore: «Giù dall’acclive monte è condotto in città un corso d’acque copioso, sospeso su arcate frequenti. Dai doccioni dei serbatoi le fontane disposte qua e là nei quadrivi, secondo gli svariati bisogni della plebe che è nella città, distribuiscono acqua sufficiente a così numerosa popolazione»; ma, come abbiamo accennato, non solo dal pubblico acquedotto, bensì da sorgenti montane e dai ruscelli si alimentavano parecchie tra esse.
Le fontane pubbliche in Genova – secondo che nota Francesco Podestà – sia che fossero alimentate dall’acquedotto del Comune o da altre sorgenti, gettavano l’acqua generalmente in vasche per mezzo di tubi che il volgo chiamava cannoni, denominazione che, per sineddoche, fu attribuita alle fontane stesse.
Tra le moltissime, il Banchero ne ricorda tredici, come più importanti; ma tra tutte primeggiavano in Genova, a giudizio dell’annalista Giustiniani, tre: quella detta variamente Marosa, Morosa, Amorosa, senza che si possa accertare quale di queste voci sia la esatta, e, come pur nota il ricordato Cattaneo, questa è la principale. Grande serbatoio di acqua sorgente, riguardo alla quale il Banchero cita un contratto del 1558 concluso dai Padri del Comune con maestro Giovanni Lurago, perché questi facesse «l’ornamento della Fontana Morosa di pietre di Finale››, ecc.; e il Podestà ricorda la cassa marmorea ivi posta, opera dello scultore Rocco Luraghi, menzionata in un atto del 1577. Le altre due sono quella del Rivo Torbido e quella delle Pozzare, inferiormente alla Chiesa di San Francesco di Castelletto, come avverte lo stesso Podestà.
Tornando all’enumerazione del Banchero, oltre la Fontana Marosa, ricorderemo le seguenti, lasciando all’autore la responsabilità della valutazione artistica.
Grande cisterna sulla piazza di Sarzano, fabbricata nel 1583, e alimentata dal pubblico acquedotto; la bocca di questa fontana venne ornata nella prima metà del secolo XIX di un «coperchio (sic) sostenuto da sei colonne doriche, sormontato da una meschina cupola con l’arme di Giano».
Cisterna o lavatoi dei Servi, esistente da tempi antichi. Fu «ornata di un bellissimo porticato ad archi di pietra e sopraornato dorico», alla fine del secolo XVIII, su disegno del Barabino.
La Vena di Sant’Ugo, in piazza dell’Acquaverde, il Pozzetto di Pré, il Pozzetto o Vena del Ponte dei Cattanei, nel vico del Sego, sono pure ricordati dal Banchero, il quale crede poter identificare quest’ultimo con la fontana della quale il Giustiniani narra che nel 936 gettò sangue, mentre il Podestà ritiene trattarsi di un’altra. Comunque, dice il Banchero come dirimpetto a questo pozzo si vedesse un avanzo di antico muro di pietre riquadrate ornate di una maschera barbata di benintesa scultura con due belve ai lati, e osserva che pare dovesse servire per doccione di un’antica fontana.
Fontana o «Barchì» della piazza di Pescheria, decorata di un bellissimo putto di marmo, opera del Rusconi. Fontana del Ponte Reale. Ne parleremo più avanti.
Fontana nella piazza Lavagna: prendeva l’acqua dalla Marosa.
Fontana in Fossatello «sormontata dal gruppo di marmo rappresentante Enea col padre››, ecc., lavoro dei Parodi, ora in piazza Bandiera.
Un assai più lungo e documentato capitolo sulle fontane pubbliche ha il Podestà nel suo importante lavoro «Il Porto di Genova››. E benché egli abbia voluto limitarsi a scrivere di quelle poste in riva al porto, nondimeno e la necessità delle cose e la sua stessa vasta erudizione, che lo spingevano a fare molti riferimenti utilissimi, han fatto sì che insieme con quelle l’Autore abbia fatto più cenni anche intorno a fontane interne.
Le fontane sgorganti in proda al porto, e i rivi, servivano a fornire le navi del necessario elemento. Il Podestà ricorda indi la fontana di San Giovanni, su un documento del 1471; due fontane al Molo, una (detta anche dei Greci) menzionata nel 1281; l’altra, anch’essa antica, che pare fosse lo stesso che il «Castello d’acqua noto col nome di Cannoni del Molo››, che costruito con pietre squadrate vediamo tuttodì nella strada di San Marco e sulla cui fronte è collocata la statuetta di San Giovanni Battista. Così sempre il Podestà. Nel 1428 veniva costruita una cisterna pur sulla piazza del Molo e vi si faceva una copertura consistente in un volto di pietra. Era detta la «Fontana dei Bagni››.
Un’altra fontana, la prima che ci ricordi la storia – dice lo stesso scrittore – esisteva nella regione del Molo: è «La Fontanella›› che gettò sangue nel 936, diversa, secondo pensa il Podestà, da quella che il Banchero credette identificare con questa, come sopra si è detto.
Poco distante ancora era la fontana dei Pexari; e al ponte dei Chiavari quella dei Coltellieri; alla Chiappa dell’Olio un’altra con vasca di marmo. Quivi nel 1727 si voleva portare il Barchile tolto a piazza Soziglia; ma poi ne venne ordinato un altro, opera dello Schiaffino, ispiratosi ai disegni del Rusconi, consistente in un basamento di marmo sorreggente un putto che raffigura l’inverno, opera che oggi non esiste più.
Ma per tacere di altre, ricorderemo col Podestà, che il ponte del Pedaggio, poi detto della Mercanzia, indi ponte Reale, ebbe anch’esso una fontana alimentata dalla sorgente delle falde di San Rocchino. Verso la metà del secolo XVII vi fu posto un artistico Barchile, poi «coronato con un genio suonante un nicchio marino››. Questo bel lavoro è quello che oggi si vede in piazza Colombo.
Di bella fattura era anche la fontana della Zecca (antica), dove ora e l’attuale piazza Caricamento. Antica era la Fontana alla porta dei Vacca che pare risalire al secolo XIII: prendeva acqua dall’Acquedotto. Era decorata dei lavori di più artisti; e là presso si trovava pure quella privata dei Dentuti. Si deve ancora ricordare che dove sorgeva la casa del famoso Vacchero, e dove è ora la lapide che ricorda la sua condanna, fu costruita una fontana la cui vasca sottostante risale all’epoca romana, e non è improbabile che i materiali dell’antica fontana della porta dei Vacca, demolita, abbiano servito per adornare questa del Vacchero.
Alcune fontane erano in quella via che tal nome porta tuttora presso S. Sabina.
Vicino all’antica chiesa di S. Tomaso ve n’era altresì una sostituita poi con un’altra fuori di quella porta, ad uso pubblico, da Andrea d’Oria per accordo coi Padri del Comune. L’acqua era derivata dall’acquedotto privato del Prìncipe.
In Ponticello veniva eretto un Barchile nel 1642, lavoro dello scultore Mazzetti, per comodo dei vicini e del mercato che vi si teneva
In Piazza Nuova tra il 1527 e il 1528 veniva costrutto un barchile di marmo. Rotto da mano ignota, ne veniva eretto un altro artistico tra il 1536 e il 1537; ma nel 1628 esso veniva tolto di là e posto nella piazza di S. Domenico, e si deliberava «di apporvi nuovi marmi a maggiore ornamento e di far sì che l’acqua zampillasse in alto. Il barchile era sormontato da una scultura di marmo, rappresentante il simbolo di Giano accerchiato da un serpe mordentesi la coda››.
Ma già in Piazza Nuova fin dal 1619 era stata scavata una cisterna, ond’essa non rimase priva di acqua a causa di quel trasporto in piazza S. Domenico ordinato per la maggiore all’acquedotto civico. Ma presso il Palazzo era pure un abbeveratoio ad uso di questo e delle soldatesche, fatto erigere nel 1432 dal Commissario in Genova del Duca di Milano, che allora ne era alto signore. Era di marmo scolpito e aveva figure di putti e di leoni (frammenti antichi?), dalla bocca dei quali ultimi cadeva larga copia di acqua in due sottostanti pile. E di fonti presso la porta di S. Andrea; di uno in Sarzano presso S. Salvatore (altra cosa dalla cisterna di cui si è fatta menzione sopra); di un barchile marmoreo che tuttora sorge al centro di piazza delle Erbe, già detta Piazza Nuova La Nuova o Piazza Nuova da basso, postovi nel 1694, sormontato da un putto, opera del famoso Orsolino, e di altri ancora ci parla il Podestà, che nei suoi pregevolissimi lavori: «L’Acquedotto Civico», «Il Porto di Genova» e «Il Colle di S. Andrea», si è intrattenuto assai sull’argomento.
Qui si è fatto un cenno breve e inordinato sulle fontane, argomento che se trattato con una certa larghezza dal Podestà, e parzialmente da altri, non fu però mai oggetto di uno studio speciale e organico. Non poco vi sarebbe da aggiungere e qualche errore storico da correggere. Delle cisterne non s’è fatto cenno se non per qualcuna che fu adorna di qualche opera esteriore: ed a proposito delle altre, che non ebbero alcun lavoro all’esterno, una ne ricordiamo, quella di piazza delle Grazie costrutta nel 1483, di forma quadrilatera, sorretta da quattro colonne di materiale raccogliticcio con capitelli, dei quali due romani e due medioevali. E la ricordiamo unicamente perché essa fu spesso confusa con la cripta del secolo X sottostante alla chiesa delle Grazie.
Se le rammentate e molte altre «chiare, fresche e dolci acque›› i Genovesi conducevano opportunamente in apposite vasche, per gli usi della vita, i lavori ornamentali che vi si fecero non corrisposero – quantunque alcuni di questi avessero un certo pregio – allo sfoggio d’arte onde in ogni altra cosa la città nostra fu ed è ognora superba. Questo lamento faceva il Banchero, il quale osservava come Genova, con tanta ricchezza di acque, non sapesse seguire l’esempio di altre città, che dalle loro fontane trassero partito per costrurre opere veramente artistiche.
Senonché devesi osservare, che veramente, salva qualche eccezione, se le sorgenti erano parecchie, non eran del pari abbondanti, quindi non si prestavano a fontane monumentali. Nondimeno era pur bello e gradevole, nel percorrere la città, il vedere ogni poco una fontana: l’acqua che zampilla pura e che s’agita e ondeggia lievemente in una vasca dà un’impressione di vita e di frescura, che solleva ed allieta. Oggi sono ben poche quelle che ancora si mostrano al nostro sguardo; ma alle due lamentate lacune si potrebbe forse, poiché Genova al presente è fornita di maggior copia d’acqua, supplire in qualche modo innestando nei progetti edilizi, che si vanno studiando a comodo e a decoro della città, proposte e disegni di qualche grandiosa fontana, che darebbe maggior luce d’arte ai progetti stessi.