“Ci insegna il Vangelo che quando il Salvatore dopo la risurrezione apparve agli Apostoli nel Cenacolo, mancava san Tomaso”
“Didimo, dal greco didumos, gemello, al quale riferirono poi gli Apostoli di avere veduto il Divino Maestro risuscitato e di averne udito la parola.
Ma Tomaso, che pur era stato chiamato da Gesù Cristo a seguirlo nel secondo anno della Sua predicazione e che aveva risposto subito alla divina chiamata, non prestò fede a quanto essi gli dissero, protestando che non avrebbe creduto a tale apparizione se non dopo essersene materialmente accertato, ponendo il dito nelle piaghe delle mani e dei piedi del Salvatore.
E il Salvatore misericordioso, compatendo alla umana fralezza, apparso otto giorni dopo agli Apostoli, dopo avere dato la pace a tutti, disse a Tomaso, che era presente: ‘Metti qua il tuo dito, guarda le mie mani, avvicina la tua mano e mettila nel mio costato, e non essere incredulo, ma credente.
Gli rispose Tomaso, esclamando: Signor mio e Dio mio. Gli dice Gesù: Tomaso, hai creduto, perché hai visto: beati coloro che, pur non vedendo. hanno creduto’.
I Vangeli danno pochi cenni intorno a Tomaso, e questo fatto della incredulità da lui manifestata a quella notizia è il più notevole fra essi. Nell’antica parrocchiale dedicata al Santo in Genova questo fu ricordato in un quadro, all’altare maggiore, rappresentante S. Tomaso che pone il dito nella piaga di Gesù.
Antonio Antoniani, scolaro del Barocci, fu autore della tavola, non priva di qualche pregio come si rileva dalle parole dell’Alizeri, che pure attenua il pensiero piuttosto favorevole espresso dal Ratti.
Ma ad ornamento della antica porta omonima, poco discosta dalla chiesa, e a ricordarne il titolo, erano pure collocate due statue marmoree di Guglielmo della Porta (sec. XVII), ‘rappresentanti San Tomaso ripreso di incredulità’, dice l’Alizeri, il quale commenta essere queste tra le opere peggiori di quello scultore, che pure, dicono i competenti, fornì a questa città buoni lavori. Si era in un periodo di decadenza, e l’artista, tra i buoni dei suoi tempi, ne aveva i difetti, che son di maggiore rilievo, come affermano gli intenditori, nelle due statue di cui si parla.
Nondimeno non può ad esse negarsi un qualche pregio, il che è naturale anche nell’opera meno laudabile di un artista, quale era il Della Porta.
Quando la porta di S. Tomaso fu chiusa, le due statue vennero trasportate sull’arco vicino che introduceva alla chiesa. Ma questa fu demolita nel 1884; e, allorché molti anni dopo si procedette alla costruzione della nuova nella storica valle di S. Ugo, quelle statue vi furono trasportate con altri cimelii dell’antica.
A tergo dell’abside del nuovo sacro edificio prossimamente inaugurando, là dove si accede alla canonica, sono state ora collocate le statue, posate su proporzionati pilastri.
Non sono più intatte, ma qualche guasto al viso e qualche mutilazione agli arti non tolgono al loro complesso, di cui può ben essere valutata la fattura; e distinto appare il gesto del braccio di S. Tomaso pur privo della mano, diretto al Salvatore.
Altro dei cimelii, cui ho accennato, è la statua di S. Limbania, dono di Geronima Vivaldi (1617), opera di Leonardo Merano, che pare di scuola lombarda e non indegno di lode.
Essa si trovava nel tempietto cui era stata ridotta la grotta dove la Santa nel secolo XIII si macerava in penitenze: oggi sorge sopra, un altare in cornu Epistolae della nuova chiesa, cioè alla sinistra, perché la destra e la sinistra di una chiesa sono determinate dall’altare, il cui lato destro è quello del Vangelo, e tale continua a chiamarsi, ricordando che un tempo il Celebrante stava dall’altra parte dell’altare, ossia della Mensa, volto ai fedeli, motivo per cui non aveva da volgersi ad essi per dire a loro: Dominus vobiscum, né per benedire.
Nel rito Ambrosiano il Celebrante non si volta neanche oggi, ricordo appunto di ciò che si faceva in antico”.