E’ avvolta in un fitto mistero la personale sensazione di sentirsi protetti per la presenza del destino. Tanto quanto stazionare, per diretta conseguenza, in un quotidiano buon umore.
Sia come sia, difficile, forse vano, tentarne una spiegazione, visto che all’origine di tale sensazione sussiste l’ innata fiducia nel rapporto individuo/destino e visto che “è inutile spiegare se non l’hai capito già” (cit. Francesco Guccini).
Tuttavia, anche in una Società irascibile e materiale, non é astrazione far corrispondere l’individuo, quale personificazione del carattere, col proprio destino. Al contrario, ciò assume quotidiana evidenza.
L’ ermetica premessa sottende un principio iniquo: il privilegio di un’indole irrinunciabilmente coinvolta nel rapporto col mondo e irragionevolmente compartecipe di un provvidenziale daimon.
Una premessa che riconosce la potenza del carattere, quando si costituisce contro-misura all’affermazione di J.S. Lec: “il peso dei problemi va calcolato al lordo, noi compresi”.
Ci si pone innanzi un bivio: da una parte, la direzione condivisa individuo/destino, legame prescelto e capitalizzato per innatismo; dall’altra, la direzione in cui questo legame è impercepito e, quando percepito, considerato perlopiù ostile.
Traducendo il concetto: agire sul piano relativistico e disporsi in relazione osmotica col mondo dichiarano ex sé l’ accordo sulle finalità tra individuo e destino, quale unità indistinta. Per parafrasare Harold Bloom, il daimon (destino) sceglie l’individuo prima ancora della sua nascita, escludendo di fatto la casualità dell’evento.
In base a questa indistinzione, l’individuo è guidato e, nel contempo, guida il proprio destino, senza scomodare vincoli di subalternità, in nome del cosiddetto libero arbitrio, né di clandestinità, in forza dell’umana inconoscibilità degli eventi.
In tale condizione di privilegio, la singola circostanza non può che portare buoni esiti, anche quando si discostano da esiti preordinati.
Il destino sono io è pertanto l’ideale affermazione di chi interpreta e traduce, secondo leggi inconsapevoli e arcane, l’andamento della propria esistenza. Andamento che, nelle convenzionali età dell’essere umano, implica una direzione in cui il destino “conduce chi lo accetta, trascina chi gli resiste”
Per sintesi, il legame individuo-destino compone l’armonia di un io felicitante, accoccolato tra desideri ed esaudimenti non per forza e non subito riconoscibili.
Massimiliano Barbin Bertorelli