Nel suo mondano peregrinare, l’uomo si è convintamente ritagliato il ruolo di incallito consumatore. Ed ha trasformato il luogo dei propri desideri nel “luogo di desideri elaborati da altri”, prendendo in prestito una definizione di Ivan Illich.
In buona sostanza, una volta che le leggi del mercato hanno via via ri-modulato le leve emotive dell’individuo, adeguandone modelli e spirito, a questo incallito consumatore è stata presentata la benevola opzione di affidarsi ad una esistenza edulcorata e di affidare il proprio ben-essere ad un intrico di incolmabili bisogni.
Volendo contrappesare il tono narrativo, si potrebbe attingere al suggerimento altrettanto benevolo di San Girolamo: “non ambire al benessere, al successo, al contrario temilo”.
Fatto sta che questo lungo peregrinare ha progressivamente reso l’uomo estraneo alla sua stessa natura e ne ha condotto il quotidiano impegno in azioni replicative e inessenziali, che ricordano il “contare i denti ai francobolli”, scomodando Fabrizio De André.
E’ infatti prassi, in nome dell’ io-sociale, assistere ad una monumentale immolazione di identità e al sacrificio volontario di ingenti corrispondenti risorse.
In questa circostanza, come in altre, ci si può chiedere che fine abbia fatto la tanto declamata componente creativa, essenziale per deflettere l’essere umano da tale angusta e minacciosa spirale.
Sia come sia, non è mai vano sperare in un tipo di successo che rivendica la presenza di una coscienza consapevole, nella misura del saper riconoscere lo spreco e lo spregio di energie, ormai pronti alla possibilità che l’ impresa naufraghi in una “ricerca di senso riassorbita dalla stupidità sociale” (cit. J. Baudrillard).
Senza ulteriori divagazioni, il pensiero individuale conduce quindi al luogo dei desideri altrui. E, in una tale direzione, non può che comporsi nel raccatto di una identità lacerata.
E poiché l’identità trae sostanza e fondamento, tra l’altro, dal riconoscimento della natura dei personali desideri, la condizione di consumatore tende a restringere i margini, già di per sé limitati, dell’arbitrio all’uopo disponibile.
In sintesi, tale individuo, pur lasciato libero di credere nell’autonomia delle proprie scelte, si identifica più o meno come “il bambino che crede di desiderare liberamente il latte”, citando B. Spinoza. Massimiliano Barbin Bertorelli