L’invidia, uno dei vizi capitali, sanzionata con redenzione nella Commedia dantesca, non tarda a sorprendere nella sua dimensione applicativa, tale la vastità delle latitudini sociali in cui trova espressione.
Con discreta probabilità di successo, è possibile credere che tale vizio sia frequentato prevalentemente dalle categorie sociali basse nei confronti di quelle alte. E che quindi consista prevalentemente in una emozione di ostilità del povero verso il ricco.
In realtà, tale “passione triste”, per nominazione di B. Spinoza, non tarda a manifestarsi anche in casistiche inaspettate, in cui il titolare-detentore è, inconfessabilmente, il ricco invidioso del povero: in buona sostanza, proprio di quel qualcuno di cui, in qualche modo e misura, si sente superiore.
Tralasciando al momento l’effetto generale per cui “l’invidia impedisce ogni rapporto conviviale”, scomodando W.Bion, a latere è leggibile il fatto che la condizione democratica della Società contribuisce ad accentuare e radicalizzare, con i suoi presupposti di uguaglianza, il vizio in argomento.
La pervasiva considerazione sottotraccia del “perché lui si e io no?” instilla una coda di conflitti emozionali che portano al patimento, più che per la propria condizione di disagio (economico, di norma), per un’altrui percepita condizione di agio; e che portano persino ad augurare danno agli altri.
Il godere dell’ altrui disagio, che traduce in soldoni un lato di questa passione triste, è innegabilmente un’emozione inconfessabile e indimostrabile, nella misura in cui, a differenza di altri vizi, tende a rendersi manifesta solo nello sguardo del soggetto.
Resta ancora da rilevare la circostanza della prossimità socio-fisica tra individui quale condizione necessaria e sufficiente a provocare l’innesco, giacché è più facile e immediato provare invidia per il vicino di casa o il collega di lavoro che per un qualsivoglia magnate di cui la tv narra le smargiassate.
Il degrado etico-morale della Comunità umana, unitamente ai fattori socio-economici concomitanti e scatenanti, pre-esiste già a livello di individuo, quando la sua idea performativa di esistenza e di relazioni interpersonali viene minata e compromessa dall’ineluttabile presenza della “passione triste” (cit.).
In sintesi, l’invidia è un vizio antico ineliminabile. Non per niente già Tacito, nel II secolo dC, sosteneva che “i vizi esisteranno fino a che esisterà l’uomo”. Massimiliano Barbin Bertorelli