Ogni avvio di campagna elettorale pretende un commento a corollario del tipo di comunicazione pubblica di volta in volta adottata per richiamare l’attenzione di un esausto cittadino-elettore e intercettarne il voto.
In questo senso, l’ habitus da elezioni esprime la sostanza dei vari candidati già nel contenuto dei manifesti promozionali, a prescindere dai possibili e mutevoli schieramenti.
Stante l’ovvietà del fatto che la lettura di un testo, ivi compresa l’immagine ad esso collegata, evoca una pluralità di sensazioni pubbliche anche opposte tra loro, è altrettanto ovvio che il candidato di turno metta in conto la statistica per cui anche un messaggio ridicolo e zero-credibile per qualcuno, per potenza della doxa, in qualcun altro produrrà un effetto wow: un ammirato consenso.
In realtà, tali nostre libere sensazioni non sono né nostre né libere, risentendo di fattori ideologici, sociali, culturali & della capacità individuale di riconoscere i codici fintamente familiari di ogni comunicazione mediatico-commerciale.
Senza divagare oltre, il palese tentativo di ammaliare l’elettore con immagini e frasi ispirate conduce all’opposto dell’ effetto wow: ad un effetto-sgomento.
Di fatto, il tendenziale allontanamento di molti cittadini da certa politica d’accatto é impedito solo dalla presenza di un indomito senso civico che impone di co-partecipare alla turlupinata democrazia del BelPaese.
Di fatto, i messaggi svelano il patetismo di candidati visti e stravisti: chi in versione manager, chi come lo Zio Sam del 1917, chi vestito per l’occasione di valori tradizional-familiari, chi di patriottismo stile “brexit”, chi di pragmatismo da “rimbocchiamoci le maniche”, chi con tono gladiatorio da no compromessi, chi recita un’ indole missionaria, chi sorride nella modalità “ganci tira-bocca per sembrare felici” a memento di un Topolino del Dopoguerra.
In generale conclusione, questa salva di banalità non lascia dubbi sull’intento furbesco, antitetico ad ogni promessa di servizio, di una classe politica che, ai vari livelli di governo, ritrova puntuale descrizione ne “Il gatto e la volpe” di Edoardo Bennato, ma ancor più in “Povera Patria” del compianto Francesco Battiato. Massimiliano Barbin Bertorelli