In generale, il politico nazionale, eletto o non-eletto, paradigma dell’uomo di potere, vive della propria vanagloria, oltre che della lauta sinecura che lo ri-compensa.
Le immagini che ne offre il medium sono emblematiche sotto questo aspetto, già sufficientemente chiarificatorie nella misura in cui il soggetto di turno neppure si premura di celare l’ atteggiamento tra il furbesco e il tracotante.
D’altro canto, estendendo il raggio d’azione, non occorre particolare acume per notare, nelle comuni vicende quotidiane, quanto ogni individuo si pensi furbo come una volpe e sempre tratteggi la propria vita come “una somma di pretese riuscite astuzie”, per citare E. Canetti.
Diviene quindi logica conseguenza che ogniqualvolta un individuo riesca senza troppa fatica a collocarsi in posizione di comando & prestigio, magari racimolando sufficienti voti per essere eletto, si percepisca un ubermensch, un “superuomo che vuole il meglio per sé”, scomodando liberamente F. Nietzsche.
Accade, per tattica, che tale smargiassa supponenza nelle pubbliche apparizioni non si manifesti appieno, come probabilmente accade nel privato. Tuttavia, una probabilità inverificabile, nella misura in cui l’esistenza protetta e privilegiata del politico dipende, tra l’altro, da un elettorato tendenzialmente ingenuo e sprovveduto da cui ottenere periodicamente consenso.
Restando quindi nel caso general-ipotetico, per proprietà transitiva, la classe politica nazionale è massimamente titolata ad ispirarsi alla modalità supponente, visto che attraverso il consenso espresso dalla platea essa riesce a garantirsi una vita densa di onori e priva di oneri.
Da questo punto di vista, ogni atteggiamento individuale sprezzante, padronesco, costituisce in sé la prova provata della mediocrità autoreferenziale del soggetto.
In specie, poiché ogni periodico deficit economico ha un differente impatto a seconda della collocazione individuale, resta molto differente l’impatto in chi é stabilmente ridossato ad una carica politica nazionale, rispetto al gravame cui è sottoposto l’ inerme cittadino-elettore.
Detto fatto, ogni atteggiamento arrogante e supponente delle istituzioni conferma la tragica progressiva “distanza tra il paese e il palazzo”, citando PP Pasolini.
Per concludere in merito, l’arroganza già di per sé indica la distanza dal Popolo della classe politica, nonostante che, per delega elettiva, debba e voglia dedicarvisi. E nonostante che, triste paradosso, l’etimo originario della parola ministro sia servitore. Massimiliano Barbin Bertorelli