Maria Stuarda di Friedrich Schiller (1759-1805, considerato l’iniziatore dei “romantici” tedeschi), rappresentata per la prima volta nel 1800, è in scena al Teatro Ivo Chiesa fino al 30 ottobre 2022. Dramma: creazione di un mondo a se stante, l’autore se ne distacca e lascia vivere le sue creature, uomini o eroi che siano, ma sempre creature vive.
Nel teatro di questo Autore serpeggia un’idea del destino individuale e del dovere allineata al pensiero di Kant e, come tutti i romantici, attinge alla storia.
Fin dalla scritta iniziale sul tendone ancora chiuso è evidente che si parla di due regine; la scena si apre sul tono di un rosso scuro inquietante, due scale simmetriche unite da un balcone su cui troneggia un angelo che lascia cadere una piuma: stasera Elisabetta Pozzi sarà Maria Stuart, Laura Marinoni sarà Elisabetta Tudor, domani chissà.
Perchè pare, e questa è una delle sorprese, che neppure le due attrici sappiano prima ogni sera quale sarà il loro personaggio, decide il destino con una piuma…ma la scelta del 20 ottobre ci è sembrata la più azzeccata e calzante con la personalità delle due protagoniste.
Il testo non si discosta granchè da quella che pare essere la verità storica. Vi è nel sottofondo, nel contrasto tra le due donne e regine, l’ombra del conflitto fra le concezioni della religione cattolica e di quella protestante.
Schiller dipinge Elisabetta come feroce ed ipocrita nella sua maschera puritana che vanta una verginità fasulla o comunque malvissuta. In realtà la regnante teme per il suo trono, in quanto Maria, sua cugina, è la seconda in linea di successione e attualmente è imprigionata con l’accusa di aver ucciso il marito.
E per giunta accusata di complottare contro di lei, la regina. Sotto le spoglie di una sicurezza regale Elisabetta è in realtà una donna sola, tormentata ed insicura, con un complesso primieramente legato alla sua nascita: sa di essere “bastarda”, figlia di una delle mogli illegittime di suo padre, Anna Bolena.
Inoltre la regina invidia l’apparente disinvoltura sentimentale di Maria, e gliela rinfaccia apertamente nella scena madre, forse priva di verità storica, dell’incontro fra le due donne: Maria ha potuto affettivamente essere ciò che a lei è stato negato, una donna. Perlomeno questa è la percezione di Elisabetta.
Maria è anche lei colpevole, ma ammette le sue colpe, prima con Elisabetta, sulla quale, data la parentela, si ostina a credere, giungendo persino a sperare di essere salvata, successivamente nella splendida e toccante scena della confessione al religioso, quando ormai sa di essere condannata a morte.
E qui esce la verità: Maria confessa le colpe vere e non quelle attribuitele.
La morte di Maria per ordine di Elisabetta segna la sconfitta morale della regina Tudor: e quest’ultima pare rendersene ben conto, considerate le numerose esitazioni ed i tentativi di attribuirne le responsabilità ad altri, persino ai servi, che precedono la condanna.
Traspare apertamente come Schiller parteggi per il personaggio umanamente debole ma autentico della Stuart.
Non dimentichiamo che l’Autore ama la rivoluzione come scintilla di mutamento sociale ma non le sue terribili conseguenze viste e vissute ( la rivoluzione francese è del 1789), tra cui la pena di morte.
Il dramma di Schiller contiene momenti di grande intensità drammatica, che, come sempre nei lavori dell’Autore, lasciano lo spettatore “svuotato”.
Oltre alla splendida interpretazione delle due attrici protagoniste, un gruppo affiatato costituito da cinque attori di grande esperienza, Gaia Aprea, Linda Gennari, Giancarlo Judica Cordiglia, Olivia Manescalchi, Sax Nicosia, dà vita a tutti i personaggi di contorno, funzionari di corte, spie, amanti, fedeli servitori o doppiogiochisti.
La traduzione del testo è di Carlo Sciaccaluga, una versione dal linguaggio contemporaneo ma allo stesso tempo il più possibile aderente alla musicalità del blankvers originario.
L’intero spettacolo è pervaso dalla straordinaria partitura musicale creata da Mario Conte, che ha curato anche la direzione musicale, e da Giua, che canta e suona chitarra e basso elettrico.
I due musicisti hanno rielaborato frammenti di musica rinascimentale, da John Dowland a Henry Purcell, e composto brani originali, come il tema Fourth Act di Mario Conte e la canzone di Giua The Queens, con cui si apre lo spettacolo. ELISA PRATO