Riceviamo e pubblichiamo lettera giunta in redazione da parte di Carola Piazza, la mamma di Davide Di Maria, il 27enne ucciso qualche anno fa in una villetta di Genova Molassana.
“Gentilissimi in merito ad un articolo su Il Secolo XIX, riguardo l’omicida di mio figlio Davide che condannato qualche hanno fa a 21 anni di carcere, viene fatto uscire e lavora in una pescheria di Lavagna, Vi prego, per favore, di pubblicarmi, la seguente lettera. Sono davvero disperata ed amareggiata.
“Sabato 17 settembre 2016, in una villetta di Molassana, veniva barbaramente ucciso, all’età di 27 anni mio viglio Davide Di Maria.
Per l’omicidio ed altri reati collegati, venivano indagati diverse persone. Dopo diverse indagini e tanti lunghi e costosi processi, arrivavano le condanne. In particolare veniva condannato per l’omicidio ed altri reati, un giovane coetaneo, Guido Morso con una pena di circa 21 anni.
Guido Morso finiva in prigione con la pena che veniva confermata anche dall’ultimo grado in Cassazione.
Qualche giorno fa leggo sul giornale che l’assassino di mio figlio è fuori di prigione e lavora in una pescheria a Lavagna. La notizia mi viene confermata anche dal mio avvocato.
E’ una vergogna, sono davvero molta arrabbiata per quello che ho letto. Loro tutti hanno ucciso mio figlio Davide. Sono sconcertata da quello che vedo. E’ pazzesco che lo abbiano fatto uscire per lavoro.
In Italia la legge non esiste. Un condannato per omicidio che viene fatto uscire dopo pochi anni, non ci credo. E’ senza senso.
Io dietro la morte di mio figlio sono distrutta, ora questa notizia. Me lo hanno ucciso due volte. Mi chiedo come un giudice possa averlo fatto uscire.
Io, che sono anche invalida, mi sto ammazzando di lavoro. Dopo il processo mi hanno licenziata dalla ditta dove lavoravo e ho dovuto ricominciare per sopravvivere, per pagare gli avvocati e tutto quanto. E’ questo che è in carcere, viene fatto uscire per lavoro. Viene dato lavoro ad uno che uccide. Penso poi a mia figlia, sorella di Davide, quanto gli voleva bene, quanto lo amava. Mi sento impotente davanti a lei.
Ma non basta. Quando mio figlio è stato ucciso aveva un anello d’oro ed un orologio. L’ho letto anche sul verbale. Che fine hanno fatto tutte queste cose. Questi ricordi devono essere i miei, ma sono spariti. Non si trovano più. Non c ‘è l’ha la procura e neppure la Questura. Perché non me li restituiscono, sono miei. Devono essere miei, devono restituirmeli. Sono uno dei pochi ricordi che ho di mio figlio Davide!”. Carola Piazza