Genova – Apre al la personale di Piergiorgio Colombara, che proseguirà sino al prossimo 5 febbraio. Il titolo Neroro è legato al ciclo di dipinti inediti, acrilici su tela tutti di grande formato, realizzati dall’artista tra il 2017 e 2021. In mostra anche altri quadri, tra cui lo splendido Cantoria, acrilico, ottone e tempera su tela, 1988, che fanno conoscere un aspetto della ricerca di Colombara (noto soprattutto come scultore) avviata alla fine degli anni ’70.
Emblematiche del reciproco transito tra pittura e scultura sono due opere del 2017, un dipinto e una scultura, entrambe con lo stesso titolo: Inpunta.
Non mancano, nella mostra antologica di Villa Croce, alcune delle sculture che hanno segnato l’affermazione dell’artista in ambito nazionale e internazionale: tra le altre, Suononous, ottone e rame, 1985; Mulino, ferro, rame e ottone, 1992; Lacrime di vetro, ottone e vetro soffiato, 1997 (collezione del Museo di Villa Croce); L’audace carena, bronzo, 2007; Culla, bronzo, 2014; numerose opere che documentano l’inesausta esplorazione di Colombara nell’utilizzo di vari materiali, compresi la terracotta e il ferro.
«Neroro ripercorre le principali tappe dell’espressione artistica del grande pittore e scultore genovese Piergiorgio Colombara, con un focus sui più recenti, e inediti, dipinti acrilici. Una rassegna di grande interesse, che sicuramente appassionerà i visitatori» commenta la consigliera delegata Barbara Grosso.
Le opere di Colombara ci fanno immergere in un’esperienza, visiva e sensoriale, che potremmo definire del limite, della frontiera, dell’ambigua soglia tra mondi e situazioni di solito ritenuti alternativi. I suoi lavori sono caratterizzati da un’atmosfera che non è ascrivibile né a una qualche reminiscenza diretta del reale, né a esiti artistici del passato – anche se potremmo citare Fausto Melotti, e il suo desiderio di smaterializzare la scultura e di dissolverne i volumi, e qualche esito di Alberto Giacometti, Louise Bourgeois, Germaine Richier.
Si respira, nell’opera di Colombara, un senso di leggerezza, di sospensione, di fragilità e di trasparenza, di tensione a cogliere e dare forma al vuoto e all’incerto confine tra suono e silenzio, qualcosa che ci fa pensare alla levità cara a Italo Calvino, che citava Paul Valéry: “occorre essere leggeri come l’uccello in volo e non come la piuma”.
I suoi lavori si sottraggono all’attribuzione a un tempo definito nel percorso dell’umana civiltà e dell’evoluzione dell’espressione artistica: scorrono davanti a noi schegge di qualcosa che già abbiamo acquisito, anche se spesso questi lacerti sono tra di loro combinati, nell’operazione di vero e proprio montaggio compiuto dall’artista, in maniera non direttamente conseguente a una logica lineare che abbia introiettato le leggi della possibile evoluzione di un oggetto. È come se, nel processo creativo di Colombara, sia perennemente in agguato la pulsione a innestare una cosa su un’altra, a congiungere e ibridare ciò che di solito è separato: le leggi della trasmissibilità dei geni e della mutazione possono essere sovvertite, quando siano investite dai brividi della libertà creativa e dagli slanci della fantasia.
L’artista ricorre, nella sua officina creativa, all’uso combinato di vari materiali (ottone, rame, piombo, alluminio, vetro soffiato, cera, ferro, bronzo, ceramica, frammenti di specchio, corde, cartapesta, riporti fotografici) e a inserimenti di lacerti di antichi manufatti, frammenti di oggetti che, appartenenti alla storia dell’esperienza umana, hanno poi fatto naufragio o sono fino a noi giunti senza esserne del tutto travolti o sfigurati. Colombara fa convivere nel corpo di una sua scultura materiali che vengono comunemente classificati come opposti e alternativi, in ragione delle loro caratteristiche relative alla malleabilità, alla solidità; ciò accentua ulteriormente la nostra percezione di qualcosa che è venuto a sovvertire le regole del farsi delle cose, provocando una sensazione di vertigine e di straniamento. I suoi lavori sono l’esito combinato di due diverse tensioni, l’una governata dalla visione progettuale, e l’altra dall’irruzione di un vento di libertà che spira durante il suo costituirsi in opera. Diceva in una sua “goccia” Camillo Sbarbaro, uno dei più grandi poeti italiani (ligure di origine) del Novecento, affine al sentimento lirico che intride l’opera di Colombara: “L’arte non si può fare, bisogna lasciarla farsi”.
Piergiorgio Colombara è nato a Genova nel 1948, città nella quale vive e lavora. Frequenta il Liceo Artistico Barabino e la Facoltà di Architettura di Genova, dove si laurea nel 1974. Negli anni Settanta e all’inizio del decennio successivo il suo interesse è volto prevalentemente alla pittura; dai primi anni Ottanta si dedica quasi esclusivamente alla scultura. Le sue opere vengono presentate in mostre personali (quella d’esordio è, nel 1980, alla Galleria Balestrini di Albisola) e di gruppo (ricordiamo le presenze, nel 1993, 2009 e 2011 alla Biennale Internazionale d’Arte di Venezia), in Italia e all’estero. La sua ricerca ha riscosso l’apprezzamento di critici e storici dell’arte, filosofi e musicisti; le sue opere sono presenti in numerose raccolte pubbliche e private.
Nel 2018 è stata costituita in Genova l’Associazione Archivio Piergiorgio Colombara, che si pone l’obiettivo di fare conoscere, valorizzare e promuovere l’opera dell’artista. Nel 2022 Skira pubblica il Catalogo ragionato dell’opera scultorea, 1982-2022 di Colombara, a cura di Sandro Parmiggiani.
L’esposizione, realizzata con il contributo di IREN e di Allianz Private Bank, è accompagnata da un catalogo con testi di Giorgia Ligasacchi, curatrice della mostra, e di Silvio Seghi, direttore dell’Archivio Colombara, e una conversazione di Diana Piazza con l’artista.
Museo d’arte contemporanea di Villa Croce
Via J. Ruffini, 3 – Genova
Orari: da martedì a domenica h 11-17
Biglietti: intero € 5 – ridotto € 3
Comune di Genova