Personale Antologica di Aldo Meineri al Circolo degli Artisti Pozzo Garitta di Albissola, Savona ospita immagini dinamiche e figure sensibili
Per anni e più volte guardando i quadri e ripensando l’immagine dinamica e la figura sensibile descritte da Susanne K. Langer nonché l’oggettivazione della vita soggettiva, visto l’esistenzialismo di Mertau-Ponty, Camus e Marcel – mi sono detto che, probabilmente, l’artista è colui la cui mente e il cui animo penetrano il dentro delle cose.
Adesso, occupandomi della pittura di Aldo Meineri, che definirei nomade o di erranza, confermo, intanto, ciò che alcuni psicologi della visione hanno intuito acutamente, ovvero che ogni dipinto è un deposito di memorie messo in evidenza con immagini di segni e dì colorì affiorate alla coscienza e rese concrete dallo sguardo dell’occhio interiore.
Ora, io credo che l’espressione del sentimento in un’opera d’arte produca forme autonomamente significanti e che il quadro sia il luogo di una apparizione netta dello spirito, meglio, della sua qualità.
Pertanto – pur con le dovute cautele e distinzioni prodotte dal tempo presenterò le opere di Meineri annotando, con pieno appagamento nel farlo l’intensità di un’opera che nasce, certo, da una straordinaria consapevolezza culturale ma, evidentemente, anche, da una “storia” del tutto personale, “raccontata”, secondo le necessità icastiche in maniera episodica e frammentaria.
Non a caso un suo lavoro degli inizi, appare avvolto dalle romantiche ragioni e dai toni esoterici dei maggiori Simbolisti (da Moreau a Redon) che trasfigurano – in modo fantastico e inglobando luci ed elementi pittorici eterogenei – gli echi lunghi dello spiritualismo.
Nel contempo, se per un verso la sua pittura sembra attingere, in conformità con i Simbolisti, alle dimensioni profonde e misteriose dell’esistenza, è pur vera, per essa, l’influenza del segno e del tono proposta da alcuni Maestri storicamente più vicini: alcuni novecentisti del dopoguerra, per esempio il caldo e tenero cromatismo di Afro e di Santomaso quando auspicavano, con gli altri sodali del Gruppo degli Otto, a verità artistica indipendente dai fatti e dalle cose concrete.
Da loro Meineri ha ricavato, probabilmente, il mutevole valore vitale dell’arte nella fusione di generi e stili differenti, il dettato armoniosamente proporzionato delle forme e dei colori.
Forse il suo esserci esistenziale stabilisce, con le cose e con i sentimenti, un rapporto di annotazioni psichiche ponendo nello spazio del supporto – tela, carta o legno che sia – le registrazioni visive, interiormente significanti, raccontate: segni segreti e simbiotiche immagini di parole, sospesi resti culturali, un deposito di archetipi grafici alla Twombly o alla Novelli.
In un apparente “informale” analogico compare infatti il “naturale”, un naturale avanzato su zone di sensibilità sempre ulteriori verso i segni, le parole, frammenti di un linguaggio espressivo che crea un mondo, un universo di memorie aggallanti nella materia pittorica e intuite nella diversità dei modi simbolici.
Il risultato non può non essere che quello suscitato dalle interrelazioni fra l’effusione dei fatti o dei sentimenti, astratti dalla realtà, e l’inquadratura dell’immagine.
Guardando i quadri di Aldo Meineri penso all’artista in rapporto all’ignoto sottolineato da Will Baumeister alla ricerca dell’autentico valore dell’arte e delle sue esigenze “non figurative”.
Il passaggio alla Action Painting, che Harold Rosenberg disse della stessa sostanza metafisica dell’esistenza dell’artista, può darsi che avvenga, dunque, in Meineri per le allusive fantasie metamorfosiche di Sutherland e peri transiti analogici alla condizione umana colti da Tapies o, forse, anche da Hartung.
Tuttavia nella sua pittura più che la rappresentazione, più che gli esempi di alcuni contemporanei, è il puro gesto autoaffermativo ad avere giurisdizione; la tela o il supporto, sensibilizzati di estreme sottigliezze e poeticamente commossi, rivelano un grado di rarefazione che si fa spazio nella luce.
Ragioni sufficienti, forse, a convincerci, dopo tanto guardare, che il lavoro di Meineri altro non sia che una sorte di reificazione visiva delle modulazioni sensibili o delle formulazioni fenomeniche interne che graduano i registri della sua misura intellettiva.