In corso al Teatro Carlo Felice, penultima della stagione lirica, l’opera “Norma”, di Vincenzo Bellini.
Il testo del librettista Felice Romani presenta un personaggio vibrante, capace di insinuarsi sottilmente nelle coscienze di uomini e donne e di scuotere mentalità misogine, tuttora presenti anche nella mentalità femminile.
Norma, ovvero la normanna, è una temuta ed ascoltata sacerdotessa druidica – in una Gallia sotto l’odiato dominio romano – e, come tale, destinata ad essere incompiuta nella vita sentimentale, nè moglie nè madre. In realtà la donna vive in segreto l’amore e la maternità con un nemico del suo popolo, Pollione, il comandante dell’occupazione romana.
Scoperto il tradimento di Pollione con la giovane sacerdotessa Adalgisa, la donna è giustamente in preda ad umani sentimenti di dolore, di rivalsa, di vendetta.
Ma il suo vero temperamento, portato per la sua stessa carica ad inseguire la giustizia, non se la prende con la rivale ma con il superficiale console romano.
Norma è l’esempio di una coscienza lucida. Il testo ci offre almeno in tre occasioni un esempio non consueto di solidarietà femminile: toccante il colloquio della protagonista con Adalgisa, che, ignara, le confida di avere un innamorato e lei, sotto l’emozione del ricordo della nascita del proprio amore, la scioglie dai voti senza esitare.
Anche quando la verità si è palesata, le due donne non diventano rivali: Adalgisa si schiera decisamente con Norma, rifiutando di seguire Pollione a Roma. E ancora, quando il tragico epilogo si è ormai delineato, Norma invita Adalgisa a sposare Pollione e a riunirlo ai suoi due figli.
In realtà il conflitto di Norma è con se stessa: si sente colpevole per aver tradito il ruolo di massima autorità religiosa di un popolo occupato, che impone l’esclusione di affetti di donna.
Nella celebre “Casta diva”, rivolta alla luna, si palesa l’interiorità conflittuale di Norma: da una parte il rimpianto di ciò che era e non è più, candida e virginale come il bianco astro, dall’altra il canto di una vestale che nasconde il suo status di amante e madre ( l’altra faccia sconosciuta della luna…).
La sacerdotessa recupera una sua dignità nel consegnarsi alla morte insieme all’amante sacrilego: una morte pianificata, da regina, dopo aver sistemato i figli, finalmente libera dalle costrizioni e dalle convenzioni di una vita sacrificata.
Il Teatro genovese ha presentato due versioni variate dell’0pera capolavoro belliniano: la prima è una revisione critica realizzata dal direttore dell’orchestra Riccardo Minasi e da Maurizio Biondi; la seconda quella considerata la più tradizionale.
La scena, tutta su toni cupi e scuri, non è stata una scelta felice, anche ammettendo che volesse annunciare e sottolineare la tensione drammatica dello svolgimento, d’altra parte presente in quasi tutta la lirica.
Discutibili anche la mistura tra costumi antichi e moderni, soldati romani in divise recenti con armi moderne, il solito stupro di guerra, sacerdotesse in calzamaglia (?!), le prolungate azioni di battaglia.
Una novità sta nell’inversione delle voci destinate alle due protagoniste femminili: nella prima versione Norma-Vasilisa Berzhanskaya è una mezzosoprano mentre Adalgisa-Carmela Remigio è una soprano, nella seconda versione Norma-Gilda Fiume è soprano, Adalgisa-Anna Dowsley mezzosoprano.
Eccezionali le voci dei cantanti, vero elemento portante dello spettacolo: inappuntabili quelle maschili. Le voci femminili, di straordinaria resa, sono apparse nella prima versione più dirette a stupire il pubblico con esibizioni di bel canto che non a scolpire i contrasti della psiche delle protagoniste.
Promossa la seconda versione classica, più affine alla sensibilità e agli intendimenti del compositore: impeccabile, definita, commovente la “Casta Diva” in sol della soprano Gilda Fiume.
Riccardo Minasi dal podio ha proposto un Bellini passionale e liricamente elegante. Preponderante la presenza del coro. Lasciamo al giudizio del pubblico il finale dove al posto del rogo agisce il pugnale di Norma. ELISA PRATO