Nano Morgante – Riteniamo di essere adeguati a relazionarci col prossimo? Pensiamo di saper riconoscere e combinare le nostre e altrui peculiarità in modo tale da costituirne via via un solido bagaglio personale di conoscenza?
Certamente, dovrebbe rientrare tra gli obiettivi di vita acquisire una progressiva consapevolezza di sé anche approfittando e tesaurizzando le occasioni offerte dai rapporti interpersonali quotidiani.
La questione è cardinale, poiché implicitamente assegna al legame sociale la funzione e la capacità di mutarsi in crescita esperienziale.
Sia come sia, malgrado ogni buon proposito, è innegabile che l’attuale prassi includa una sostanziale incuranza e un convinto disinteresse per il prossimo: un disinteresse c he porta a considerare spreco di tempo ed energia ogni impegno nell’essere sociale.
A ribadire il concetto, il considerare l’altro come un elemento contributore di crescita personale si contrappone all’usuale dinamica antisociale.
Senonché, scoprire “la verità nel silenzio del volto”, scomodando G. Agamben, e rivalutare l’antropologia degli affetti, rivela la volontà di approfondire e attingere alle tematiche relazionali: talora “guardando con libertà le cause che ci muovono”, citando B. Spinoza, talaltra arginando la percezione del sospetto e del pericolo quale insormontabile ostacolo ad ogni impulso accogliente.
Esprimere nel quotidiano la funzione sociale del dialogare preordina il superamento di un solipsismo che, ahimé, costituisce l’alimento prediletto della vita sociale urbanizzata.
Ricapitolando, la privaticità dell’individuo rispetto alla dimensione collettiva attiene all’instaurarsi irriducibile, in quanto desiderabile, della reificazione di ogni nesso sociale, quale unica fase relazionale ammessa dal mercato.
Alla resa dei conti, l’ impulso interessato, così benvoluto in questa Società, può paradossalmente rivelarsi anche e soprattutto nello stabilire legami sociali duraturi e nel riconoscere al dialogo una impareggiabile funzione produttiva.
Una funzione produttiva (di conoscenza & d’esperienza) che per darsi concretamente ha il basilare bisogno di “prenderci reciprocamente sul serio”, citando J. Neusner. Massimiliano Barbin Bertorelli