Il Nano Morgante. Oggi più che mai, occorre comprendere l’utilità di renderci consapevoli di noi stessi, delle nostre azioni, dei loro presupposti fondativi e delle conseguenze dirette e indirette che possono sensatamente sortire.
Per dirla al contrario, in un contesto sociale dove domina il nullismo, dove prevalgono i valori di facciata, tutto dispone a disimpegnarsi nei confronti dell’altro e a trascurare la conoscenza di sé, salvo tirare in ballo precetti morali ed etici quando possono servire & allietare l’esistenza individuale.
La questione pulsa di contraddizioni, poiché pone l’intento individuale introflesso, interiormente speculativo, dinanzi ad un’ umanità costantemente rivolta ad un apparire altro da sé.
Tantopiù che la deep-attention, il riflettere sulle cose, comporta usualmente l’idea di disperdere malamente il proprio tempo rispetto alle priorità edonistico-materialiste.
E’ pertanto naturale che sorga l’avversione per ogni impegno socialmente improduttivo e inconferente: come lo studente che reputa inutile lo studio della matematica in quanto inconferente alla qualità della vita quotidiana.
Da ciò, la convinzione di considerare fatica inutile ogni risultato di un’azione che non produce o non si approssima agli obiettivi di successo indicati dalla Società.
Si rafforza l’idea complessiva per cui l’impegno, quando persiste, persiste solo per eredità educativo-familiare, la cui logica è comunque pre-destinata allo sconfessamento se sottoposta alla doxa, all’ opinione comune.
“Chi me lo fa fare?” costituisce la perfetta declinazione della vita contemporanea: nessuno sforzo se non per ciò che arricchisce esteticamente e per ciò che è funzionale all’interesse materiale spicciolo.
L’ideale elevato si posiziona marginale rispetto all’esistenza, in proporzione inversa all’ampia misura assegnata all’ icona del successo.
Riepilogando, la teorica pretesa di dotarsi di un’esistenza furba e gloriosa implica, tra l’altro, il rifuggire ogni aspetto non aderente alla priorità sopra delineata.
In sintesi, resta una fuorviante ed equivoca interpretazione del Principio di Pareto: meglio l’inazione piuttosto che l’azione (economicamente) infruttuosa. Massimiliano Barbin Bertorelli