Costituire di sé & per sé una condizione di esistenza felice permane un desiderio irrealizzato per l’individuo contemporaneo, vista l’eccentricità, l’inautenticità, della sua posizione nell’esistenza.
Non c’è dubbio che l’ inquietudine, la perenne insoddisfazione di sé, la scarsa socialità col prossimo, l’ inaderenza alla propria natura, l’idea di contesa con cui approccia ogni relazione interpersonale, gli creano una condizione ben lontana dalla felicità. E solo la manipolazione consumistica, col suo effetto-inebetimento, riesce ad illuderlo di una felicità pronta cassa.
Detto fatto, il mercato ha manipolato l’individuo fino a rendere sinonimi felicità & agiatezza economica. Ha infatti sdoganato quest’ultima, con tutte le sue implicazioni simboliche, come succedanea della felicità terrena e anche ultra-terrena: non a caso, la “certitudo salutis”, citando M. Weber, consiste nel procurarsi il successo nell’aldilà raggiungendo il successo nell’aldiqua.
E’ la stessa doxa a confermare l’enorme numero di like decretato all’ equazione ricchezza=felicità: in sostanza, “la felicità è diventata una questione economica”, citando Z. Bauman.
Una sinonimia perfettamente adeguata ad una platea infarcita di ideali vanesi, malgrado gli stessi ideali manifestino l’evidente lacunosità del loro presupposto: quel bramoso possesso dei simboli d’opulenza così indispensabile per il ben-avere, ma inutile per il ben-essere.
Ereditando, quindi, al momento, le tipiche malattie di questo nostro ben-avere (cardiopatie, cancro, diabete), ne sortisce una società del mal-essere: “una società organizzata nell’infelicità”, citando liberamente H. Marcuse.
Ma poiché “la felicità è la soddisfazione ritardata di un desiderio originario dell’infanzia”, citando S.Freud, ne promana che l’ agiatezza, per quanto ambita sia, resti un elemento inconferente.
A malincuore, occorre pertanto ammettere che, al momento, l’ obiettivo ben-essere è un obiettivo fallito. Massimiliano Barbin Bertorelli