Il Nano Morgante. Dinanzi all’infuriare di una mordace crisi economica, il prodotto tecnologico-informatico pare non risentirne, mantenendosi immune da qualsivoglia depressione commerciale.
Non a caso, all’attuale epoca della comunicazione digitale è implicato, tra i tanti esempi disponibili, uno sciame umano permanentemente connesso al proprio smartphone, assurto a luogo devozionale.
Fatto sta che (quasi) nessuno diverge dal periodico acquisto del modello più aggiornato e più costoso (ma rateizzabile), soddisfacendo il bisogno anche in barba a personali difficoltose condizioni finanziarie.
L’evocazione subliminale dei messaggi pubblicitari non lascia spazio a incertezze.
E’ infatti risaputo che rinunciare o rifiutare il possesso di questo congegno tecnologico mobile comporta l’allontanamento sociale: nella migliore delle ipotesi, il confino volontario. E che per questo nessuno vuole per sé e per i suoi cari una sorte da emarginato.
Resta che le nuove e nuovissime generazioni, in quanto tali, ne sono compromesse per data di nascita. Ma anche le altre, boomer compresi, vi restano avviluppate per acquisita e convinta tecnolatria.
Persino i più anziani, emotivamente più solidi, esprimono sottomissione alla persuasività dei consigli per gli acquisti del medium televisivo. E quando l’induzione della falsa familiarità mediatica non va a segno, va a segno l’ induzione sostitutiva dei diretti familiari: infatti, come monitorarne e sorvegliarne i movimenti, come placare l’ansia da connessione permanente, senza la salvifica presenza di tale congegno?
Sia come sia, anche se eccezionalmente animati da una teoria di differenti propositi, non è facile resistere alla spinta propulsiva esercitata quotidianamente dalla tecnologia.
D’altra parte, la mancanza di una coscienza vigile da parte del consumatore ha costituito i presupposti della tecno-irrinunciabilità, malgrado una semplice riflessione sul comune equivoco che allinea progresso & sviluppo potrebbe sempre rivelare che, nella realtà di tutti i giorni, il primo non determina il secondo.
Cosicché, scalzata ogni possibile reazione contraria e avvalorato perdipiù l’ equivoco, è conseguente il non attenzionare che un prodotto di tale equivoco sia proprio l’attuale ansia da connessione permanente.
In conclusione di discorso, se qualche tempo fa, camminando per strada, si poteva facilmente scambiare quattro chiacchiere col prossimo, incuranti di un telefono che era stabilmente appeso al muro di casa, oggidì, l’ansia da connessione permanente ci impone, senza indugiare sul mondo circostante, di averlo sempre a portata di occhi e di mano. Massimiliano Barbin Bertorelli