Con il campione olimpionico Giuseppe Abbagnale
“Il ritorno di Maciste” sarà presentato lunedì 15 aprile alle 19 al cinema Odeon. Il film è stato prodotto da Alessandro Borrelli per La Sarraz Pictures, in collaborazione con Museo Nazionale del Cinema, con il contributo di MiC, Regione Liguria, Film Commission Torino Piemonte e sviluppato con il contributo di Media Europa Creativa
Maciste torna nella città dov’è nato: Genova. Per di più in una sala storica, l’Odeon di corso Buenos Aires, già intitolata al tycoon ante litteram Stefano Pittaluga che nel 1915 finanziò il film “Maciste” interpretato dal portuale genovese Bartolomeo Pagano di Sant’Ilario, con la firma di Gabriele D’Annunzio.
La proiezione speciale sarà introdotta dal campione olimpionico di canottaggio Giuseppe Abbagnale, interprete di Bartolomeo Pagano, dal regista Maurizio Sciarra e da Marco Doria, professore ordinario all’Università di Genova, che ricostruisce il quadro storico della nascente industria del cinema.
Se Genova ebbe un ruolo nella nascita del cinema, tanto si deve a Stefano Pittaluga, a Bartolomeo Pagano e a Maciste. Nel 1914 uscì “Cabiria”, dove fra personaggi c’era Maciste interpretato da Bartolomeo Pagano. Dopo due anni Maciste” acquisì il ruolo del titolo. Il primo film ebbe un tale successo da generare un vero e proprio filone, da “Maciste alpino” del 1916 a “Maciste nella gabbia dei leoni” del 1926, passando attraverso altri tredici pellicole in cui del gigante buono si raccontano le gesta in versione alpino, atleta, poliziotto, innamorato, medium, imperatore, finanche all’inferno e nella gabbia dei leoni.
Il personaggio divenne così popolare da lanciare il protagonista del primo kolossal della storia del cinema, Bartolomeo Pagano, verso il successo mondiale e allontanarlo per sempre dal mondo camalli, coloro che con la forza delle braccia, fino all’era della meccanizzazione, caricano e scaricano le navi che fanno di Genova il porto del triangolo industriale di un’Italia che inventa la grande industria.
Maciste, l’eroe dalla forza sovraumana che coi suoi muscoli ma soprattutto con il suo senso di giustizia protegge l’umanità dal male, divenne l’emblema del gigante buono, modello a cui aspirare. Poco si sa, invece delle origini e della storia di chi interpretò il personaggio, il portuale genovese Bartolomeo Pagano, il quale vide la sua vita cambiare in seguito all’incontro col regista Giovanni Pastrone, che lo fece divenire il primo supereroe del cinema italiano e lo proiettò sulla scena mondiale.
Oggi, quasi a ripetere quella storia, è il campione olimpionico di canottaggio Giuseppe Abbagnale a riportare Maciste sulla terra e a farci conoscere la storia di Pagano. Alcune fra le scene sono ambientate in luoghi ben riconoscibili da chi conosce Genova: lo scoglio di Quarto con il monumento ai Mille di Eugenio Baroni e Albert Kart, le banchine del porto con la Lanterna sullo sfondo, l’Accademia Ligustica di Belle Arti.
In questo film, che sfuma i confini tra realtà e finzione, il pretesto narrativo è una proiezione di “Cabiria” (1914), organizzata dal critico Steve Della Casa, al termine della quale il personaggio di Maciste esce dallo schermo e prende vita nel mondo reale, ricostruendo, insieme al critico e con l’aiuto di autorevoli esperti, i ricordi e i luoghi del passato di Maciste, costretto a confrontarsi con un mondo – quello contemporaneo – che sembra averlo dimenticato.
«La storia di Bartolomeo Pagano è intreccio di diversi racconti – afferma il regista Maurizio Sciarra – del primo cinema muto italiano, quello che con Pastrone inventa nuove tecniche (il carrello, per esempio) e nuovi linguaggi, è storia dei primi “film sui film”, come dimostrano le pellicole della Itala Film che uniscono con leggerezza la messa in scena della macchina cinema al racconto vero e proprio, intrecciando i due piani con ironia e modernità. Ma è storia di un’Italia che scopre la nascita della grande industria e che permette l’affermarsi della prima “dittatura di massa”, la quale ricerca eroi e sentimenti che la rappresentino. È storia di “un uomo qualunque”, che viene strappato al pesante lavoro del porto e diviene simbolo della forza a servizio della giustizia sociale».