Il modello consumistico di vita felice é un modello tanto idoleggiato quanto ingannevole, al punto che tenerlo fuori di casa propria é un’ ottima idea.
Talché, un’ ottima soluzione la si trova nell’ inattuale figura del cuor contento: colui che, interiormente ricco, non cade nell’imbroglio del consumismo, consapevole che da un tale luogo é improbabile tornare indietro.
Così, pur senza certezza di fuga, si teorizza l’esistenza di un metodo alla portata di tutti, utile quantomeno a smascherare l’imbroglio.
Partendo dall’assunto per cui il possesso di beni materiali equivale a felicità, tale metodo prevede una elementare operazione: quantificare la presenza di felicità personale quotidiana e metterla in proporzione con la quantità dei beni materiali posseduti.
In base all’esito di questa proporzione, se calcolata con la lucidità di chi non è coinvolto, si determina lo stato di dipendenza della felicità personale.
Qualora infatti la felicità personale dipendesse palesemente dai beni materiali, essa risulterebbe ondivaga e fugace, compromessa quotidianamente dalla smania accumulatoria: in sostanza, una felicità subordinata, a ritmo alternato.
Qualora invece la felicità personale non dipendesse dai beni materiali, essa si presenterebbe sempre disponibile all’uso, svincolata dalla necessità di afflusso materialista: in sostanza, una felicità pronta cassa.
Ahinoi, malgrado la bella teoria, resta la pratica di un individuo imbrigliato mani e piedi nell’ ambizione di essere ciò che possiede.
A ribadire il concetto, l’imbrigliamento materialista prospetta solo una felicità imbrogliona, un individuo esultante per artificio che, come un elastico non più in tensione, ritorna subito dopo al suo stato originario.
Ecco dunque svelato il tragico esito dell’attuale modello di vita felice: una felicità fuggevole e forsennata, che rincorre sempre nuovi beni materiali e che esulta solo nel breve istante in cui ne viene in possesso. Massimiliano Barbin Bertorelli