Potrebbe essere applicato lo scudo penale ai medici accusati della morte di Daniele D’Amato, 48 anni, zio della brava e bella ginnasta genovese Alice D’Amato, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Parigi 2024.
Il 48enne era finito in ospedale ed era stato dimesso per tre volte con la diagnosi di lombosciatalgia quando in realtà, secondo quanto emerso, aveva una dissezione aortica.
La giudice per l’udienza preliminare Angela Nutini ha disposto una perizia per capire, oltre al nesso causale e all’eventuale colpa, se possa essere applicata la misura inserita nel decreto Milleproroghe che prevede l’estensione dello scudo penale, previsto per l’emergenza Covid, per il personale medico in situazioni di carenza di personale sanitario o in particolari contesti lavorativi come quelli del Pronto soccorso.
A eseguire la perizia sarà il medico legale Davide Bedocchi.
Per quella morte, la pm Francesca Rombolà ha chiesto il rinvio a giudizio per due medici rispettivamente dell’ospedale di Novi Ligure e del San Martino di Genova.
La vicenda risale al 2021. Daniele D’Amato, secondo quanto denunciato dai familgiari, si era presentato il 23 maggio in ospedale con forti dolori e la pressione molto alta.
Era stato visitato da un medico a gettone che non sarebbe riuscito nemmeno ad accedere al sistema informatico, visto che non è dipendente.
Il paziente aveva firmato per le dimissioni dall’ospedale ed era andato via alle 7 del mattino.
Un paio di ore dopo, però, era tornato nello stesso ospedale, con l’elicottero, lamentando dolore lombare dopo sforzo nella giornata precedente in ernia discale.
Al secondo accesso, ha scritto la pm nella sua richiesta di rinvio a giudizio, il medico ha omesso “di completare la raccolta anamnestica e l’esame obiettivo del paziente non eseguiti esaustivamente al precedente accesso” e invece di trattenerlo lo ha dimesso.
Alla terza volta Daniele D’Amato era stato trasportato all’ospedale San Martino, dove poi era morto alcuni giorni dopo.