Al teatro Carlo Felice il primo appuntamento del 2025 è il ritorno de La traviata, melodramma in tre atti di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave da La Dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio. Lo spettacolo, che riprende l’ indovinato allestimento del 2018 con le scene e i costumi di Guido Fiorato e la regia di Giorgio Gallione, sarà in scena da domenica 12 gennaio alle ore 20 fino a domenica 19 gennaio alle ore 15, per un totale di sette spettacoli. La durata è di 180 minuti.
Questa mattina il sovrintendente Claudio Orazi e il direttore artistico Pierangelo Conte hanno presentato l’evento in conferenza stampa assieme agli assessori alla cultura Simona Ferro per la Regione e Lorenza Rosso per il Comune. Presente il cast e molti rappresentanti della stampa.
La conferenza stampa al Carlo Felice, parla l’assessore Simona Ferro
Maestro concertatore e direttore dell’orchestra Renato Palumbo, autorevole esperto della produzione verdiana. Le coreografie sono DEOS, le luci di Luciano Novelli. Allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova. Orchestra, Coro e Tecnici dell’Opera Carlo Felice. Maestro del Coro Claudio Marino Moretti.
A dare vita ai protagonisti saranno: Carolina López Moreno /Elena Schirru (Violetta Valery), Carlotta Vichi (Flora Bervoix), Chiara Polese (Annina), Francesco Meli / Klodjan Kaçani (Alfredo Germont), Roberto Frontali / Leon Kim (Giorgio Germont), Roberto Covatta (Gastone), Claudio Ottino (Barone Douphol), Andrea Porta (Marchese d’Obigny), Francesco Milanese (Dottor Grenvil), Loris Purpura (Domestico di Flora), Giuliano Petouchoff (Giuseppe), Filippo Balestra (Commissionario).
La traviata fa parte, insieme a Rigoletto e al Trovatore, della “trilogia popolare” di Giuseppe Verdi ed è una delle opere più rappresentate e conosciute. Era l’inizio del 1853, Verdi iniziava la composizione per il Teatro La Fenice di Venezia con il librettista Piave per adattare il dramma teatrale tratto da La Dame aux camélias, romanzo pubblicato da Alexandre Dumas figlio e best seller a livello europeo. Il soggetto è ispirato alla vera storia della cortigiana Marie Duplessis che, intelligente e intraprendente, era entrata nell’alta società parigina fino ad essere sposata da un conte, morta giovanissima nel 1847. La vicenda aveva colpito Verdi che ambientò la trama nella contemporaneità, trattando tematiche non proprio accettate dal moralismo dell’epoca. Dopo la prima rappresentazione, il 6 marzo 1853, La traviata iniziò a circolare in tutta Italia (anche se in parte censurata) ricevendo non poche critiche, ma il suo fascino conquistò presto il pubblico. La portata rivoluzionaria della Traviata si trova sia nelle tematiche – la storia d’amore della protagonista, Violetta, una cortigiana dalla psicologia complessa raccontata con straordinaria umanità – sia nelle tecniche compositive. Elemento centrale la profonda introspezione dell’intimo dei protagonisti esplorata sia dalla drammaturgia che dalla musica in unica coesione.
«Con La traviata Verdi sceglie la strada della semplicità – sostiene Renato Palumbo. Semplice è la trama, semplice la scrittura musicale. Semplice, moderno e illuminato è il libretto. Dietro questa semplicità si nasconde un mondo fatto di solitudine, di passione e soprattutto di dolore, affettivo ma anche fisico. Il dolore è quindi presente dalla prima all’ultima nota dell’opera. Il Direttore ha il difficile compito di narrare e creare quest’atmosfera ricercata da Verdi, pensando alla scrittura musicale ma soprattutto alla parola verdiana che in quest’opera diventa quella della quotidianità.
Commenta Giorgio Gallione: « Verdi pensò La traviata come un’opera contemporanea: uno spietato inno alla vita ambientato nel presente di allora, senza orpelli o simbolismi, di una moderna, audace, ardente interiorità. Con Guido Fiorato, scenografo e costumista, abbiamo pensato di ambientare l’opera in un luogo stilizzato, antirealistico, sterile, dove dominano vetro e ghiaccio, virato in un bianco e nero “ferito”, solo talvolta, dal rosso del sangue e della vita che, comunque, pulsa. Forse Violetta muore già nel preludio e l’opera è tutto un allucinato flashback visionario e spettrale. Siamo, anche nei momenti di gioia, imprigionati in una sorta di perenne moritat dove il dolore è trasfigurato in modo sublime».ELISA PRATO