In corso al Teatro Eleonora Duse fino a domenica 23 febbraio
La storia è nota anche ai meno amanti della classicità. La bellezza di Cassandra, figlia di Priamo re di Troia e di Ecuba, aveva attratto il dio Apollo che le aveva concesso il dono della profezia a condizione che cedesse aile sue profferte. Ma Cassandra respinse il dio e questi si vendicò condannandola a essere sempre veritiera ma sempre non creduta. Dopo aver invano profetizzato la caduta di Troia, la donna venne resa schiava e concubina da Agamennone, per finire uccisa dalla di lui consorte Clitennestra.
La scena è spoglia e tendenzialmente buia; cornici senza quadri, un lungo drappo vengono abilmente movimentati dall’attrice nel corso dell’azione. Elisabetta/Cassandra racconta della rovina di Troia, dei dolori di chi attende, del ritorno di Agamennone vittorioso a Micene, ambiguamente accolto da Clitennestra: recita con toni da uomo e da donna, infondendo vita ai personaggi con un sapiente uso della vocalità che modella abilmente (da quella splendida attrice e conoscitrice di classici che è), incisiva nell’esprimere i sentimenti.
Efficace e innovativo il prologo dello spettacolo in cui l’attrice rammenta l’importanza storica, culturale ed emozionale delle “rovine” del tempo antico. In primo piano, coinvolgendo il pubblico nei propri presentissimi ricordi, Elisabetta racconta del suo ingresso a Micene dalla famosa porta dei leoni e del momento in cui la psiche di Cassandra è entrata in lei: in una frazione di secondo da Elisabetta sorge Cassandra.
Interessante psicologicamente e forse centro dello spettacolo l’affermazione che in realtà la precognizione alberghi in ogni essere umano ma che sia difficile da accettare.
La preveggenza di Cassandra è la capacità di leggere i segni del presente per individuare il futuro, una sorta di sensibilità esasperata che può rendere soli, incompresi e qualche volta in bilico ai margini della follia.
In genere non sono troppo attratta dalla rivisitazione del teatro antico che, secondo me, ha un suo pieno significato se inserito nel tempo in cui è stato scritto. Devo ammettere però che la brava Pozzi riesce ad adattare questo testo alle nevrosi dell’uomo moderno che, ansioso di socialità, non trova la via per raggiungerne una sana ma tesse, come un ragno, una tela che ha come conseguenza di renderlo prigioniero e di lasciarlo immerso nella sua solitudine. Anche perchè portatore e trasmettitore di una educazione che poco o nulla concede alla vera comprensione dell’altro, la cosiddetta empatia.
La Cassandra costruita da Elisabetta Pozzi è un personaggio senza tempo: porta i segni degli errori del popolo troiano e quelli dell’umanità accecata dal mito di un progresso infinito, dall’inseguimento di un futuro freneticamente perseguito. Al centro dell’inascoltata preveggenza vi è l’uomo di oggi: anche se nel finale dello spettacolo appaiono un tantino caricate le luci spettrali sullo spettatore e i toni apocalittici sulla futura sorte dell’ umano essere. ELISA PRATO
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