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Agende Rosse Liguria, la Lettera aperta alla Prefetta di Genova

Agende rosse Liguria

Riceviamo e pubblichiamo il testo della “Lettera aperta” consegnata alla Prefetta di Genova Cinzia Torraco dai responsabili di Agende Rosse Liguria, a seguito della manifestazione di sabato scorso a sostegno del magistrato Antonino Di Matteo.

“Ci rivolgiamo a Lei, quale rappresentante del Governo della Repubblica, per esprimere piena solidarietà, vicinanza e fermo sostegno al sostituto procuratore nazionale antimafia Antonino Di Matteo, cittadino onorario di questa Città.

Il dott. Di Matteo, infatti, è stato oggetto nei giorni scorsi di un duro attacco perpetrato nei suoi confronti dal capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, a causa dell’intervista rilasciata al giornalista Saverio Lodato nel libro “Il colpo di spugna. Trattativa Stato-Mafia: il processo che non si doveva fare”.

Un tema, quello della trattativa tra frange deviate dello Stato e Cosa nostra, ben conosciuto dal procuratore Di Matteo – che da oltre trent’anni vive sotto scorta perché impegnato nel contrasto al fenomeno mafioso – e, ciononostante, qualcosa ha spinto il senatore Gasparri a proporre un’interrogazione al Ministro della Giustizia Carlo Nordio onde conoscere quali iniziative il Guardasigilli intenda assumere per verificare l’eventuale sussistenza di responsabilità disciplinari a carico del dott. Di Matteo e a tutela della magistratura, della Corte di Cassazione e dei suoi componenti e all’ulteriore eventuale sussistenza di reati derivanti dalle esternazioni contenute nel libro citato.

Sembrerebbe che il senatore Gasparri abbia invocato il vaglio di possibili responsabilità disciplinari e persino penali su Antonino Di Matteo in conseguenza del solo fatto che quest’ultimo ha manifestato la propria opinione in senso critico rispetto agli arresti dei giudici di Cassazione che hanno assolto poco meno di un anno fa (era il 27 aprile 2023) gli ufficiali del R.O.S. dei Carabinieri Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, nonché Marcello Dell’Utri, già senatore di Forza Italia, tutti imputati nel c.d. ‘processo trattativa Stato – mafia’ insieme agli esponenti di Cosa nostra.

Nonostante le assoluzioni della Suprema Corte, infatti, al procuratore Di Matteo e al pool di magistrati che con lui hanno lavorato per anni nel menzionato processo si deve la ricostruzione di una realtà storica a dir poco inquietante – quella di un patto scellerato tra Stato e antistato – che ha trovato coraggiosamente cristallizzazione nella sentenza di primo grado di giudizio, al termine del quale tutti gli imputati (mafiosi di lungo corso e uomini delle Istituzioni) sono stati condannati dalla Corte di Assise di Palermo.

In secondo grado, poi, la Corte di Assise di Appello di Palermo, pur riconoscendo il fatto che la trattativa ci fu, ha stabilito che ciò non poteva costituire reato. In sostanza, il giudice di seconde cure aveva abbracciato la ricostruzione dei fatti operata dal dott. Di Matteo, ma, in prospettiva sostanzial-penalistica, giacché il nostro ordinamento non contempla la figura del “reato di trattativa”, ha ritenuto di non confermare la pronuncia di primo grado.

La Corte di Cassazione, come anticipato, ha infine assolto tutti gli imputati per non aver commesso il fatto, limitandosi a prendere in considerazione una parte molto contenuta – se non minima – del materiale ad essa rimesso mediante i ricorsi delle parti e giudicando per l’annullamento della sentenza di appello senza disporre il rinvio a nessun’altra autorità giudiziaria, neppure per approfondire aspetti che avrebbero meritato ulteriore attività istruttoria.

Una pronuncia senza possibilità di reclamo ed assoluzioni del tutto contraddittorie rispetto alle risultanze processuali degli altri gradi di giudizio, dunque.

Molti dei fatti storici (che dimostrano omissioni, complicità, gravi responsabilità politiche, silenzi, omertà, anche di Stato) emersi in anni di lavoro di pochi magistrati, fra cui quello del procuratore Di Matteo, però, non potranno mai essere cancellati, nonostante i tentativi di mistificazione e depistaggio.

Che la trattativa tra frange deviate dello Stato e la mafia ci fu, è un dato ormai incontrovertibile. E non lo dicono ‘solamente’ le sentenze di primo e secondo grado del processo trattativa Stato – mafia. Lo hanno acclarato negli ultimi venti anni oltre settanta giudici penali, due sentenze passate in giudicato (quelle dei processi Bagarella e Tagliavia), e lo hanno financo ammesso dagli stessi imputati del R.O.S. Carabinieri davanti ai magistrati.

Eccellenza,

la pacifica e civile manifestazione che si sta svolgendo in questo momento davanti a questa Prefettura, non esprime solamente sostegno ad un uomo-simbolo del contrasto al fenomeno della criminalità organizzata di stampo mafioso; questo radunarsi di donne e uomini parla di una preoccupazione.

La preoccupazione di chi teme possa essere leso il diritto alla libera manifestazione di pensiero di cui all’art. 21 della Costituzione della Repubblica davanti alla sostanziale invocazione di provvedimenti verso un cittadino – prima ancora che un magistrato che ha sacrificato tutto per la ricerca della verità e della giustizia – che ha manifestato e argomentato le proprie perplessità in relazione ad una decisione dell’autorità giudiziaria.

Tutte le cittadine e tutti i cittadini, certo, sono tenuti ad osservare le sentenze. Così come ogni cittadina ed ogni cittadino ha il diritto insopprimibile di manifestare il proprio pensiero, anche critico, verso quelle pronunce che ritiene discostarsi dal vero o rette da motivi che vacillano, sempre e comunque nel pieno rispetto dell’antico principio del neminem laedere.

Siamo certi che, ove la Corte di Cassazione avesse pronunciato sentenza di annullamento con rinvio, tali censure di contraddittorietà, criticità, illogicità avrebbero trovato dimora in atti processuali che non è stato possibile redigere.

È difficile, allora, non chiedersi se questa netta presa di posizione della Suprema Corte non sia stato un modo per non ammettere che uomini e donne di Stato hanno condotto una trattativa scellerata determinante per l’uccisione di Giovanni Falcone con la moglie Francesca Morvillo e dei tre agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, nella strage di Capaci; per l’accelerazione del piano per il compimento dell’attentato in Via D’Amelio, in cui vennero assassinati Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Claudio Traina, Walter Eddie Cosina, Agostino Catalano e Vincenzo Li Muli; nonché per le stragi del 1993, fra le quali ricordiamo quella di Via dei Georgofili, a Firenze.

Tornando ai biasimi mossi ad Antonino Di Matteo dal senatore Gasparri, quest’ultimo evidenzia ancora come il contenuto del libro “Il colpo di spugna” rappresenti un illecito disciplinare a motivo della “ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria di altro magistrato”. Bastano queste poche parole a qualificare come pretestuoso l’attacco dell’esponente politico: come potrebbe, del resto, interferire il dott. Di Matteo, a distanza di mesi dalla pronuncia del dispositivo e dal deposito delle motivazioni della citata sentenza, nell’attività della Corte di Cassazione, quando questa ha definitivamente concluso i propri lavori?

Arduo è pensare come l’atto del senatore Gasparri non possa realmente costituire un grave precedente per tutti quei magistrati che vorranno continuare a pensare liberamente e con indipendenza. Quasi impossibile non scorgere un abuso dell’atto di sindacato ispettivo e uno sfregio alla memoria di servitori dello Stato come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Preoccupante è l’ulteriore tentativo di boicottaggio, isolamento e delegittimazione di magistrati che quotidianamente mortificano la propria vita e quelle delle loro famiglie per alto senso dello Stato e della giustizia.

Tanto basterebbe affinché il senatore Gasparri avvertisse il dovere di fare un passo indietro, per onorare effettivamente i sensi di legalità e democrazia tanto invocati.

Eccellenza,

la memoria dell’impegno e del sacrificio dei martiri del nostro Paese ci spingono a schierarci contro chi vorrebbe silenzio e conformità e ci chiedono di pretendere risposte chiare e coraggiose da parte dello Stato. Di uno Stato che è e deve essere espressione di ogni sensibilità, anche di quelle di quanti legittimamente si interrogano sulle motivazioni più profonde che hanno determinato uno scostamento impressionante tra verità storica e verità processuale, come accaduto in esito al processo trattativa Stato – mafia.

Per questo oggi siamo qui: chiediamo con forza che il Governo ed il Parlamento si schierino apertamente e decisamente a tutela di chi, a motivo dell’operare per la giustizia, subisce continui attacchi ed esautorazioni. Perché delegittimazione, isolamento istituzionale o mediatico, e silenzio sono il terreno più fertile per il proliferare del pensiero e dell’agire mafioso.

Altrimenti le morti eccellenti, quelle che ogni anno ricordiamo solennemente, resteranno vane; altrimenti, il sacrificio di tanti uomini e donne di Stato non avrà insegnato alcunché.

Eccellenza,

esprimiamo sentita gratitudine per l’attenzione e per l’udienza che ha voluto concedere.

La preghiamo di far pervenire questo scritto, tramite i Suoi buoni uffici, al Consiglio dei Ministri ed al suo Presidente. Con stima e riconoscenza”. Associazione Le Agende Rosse Gruppo “Falcone Borsellino”, Liguria