“C’era una volta..”, così comincia Aggiungi un posto a tavola, come cominciano da sempre le favole. E infatti questo spettacolo è una favola, ad iniziare dai colori del cielo e dalla forma degli alberi della scenografia, così simili al dolce paesaggio romano…
Una favola in cui i personaggi si muovono in un rutilare di sentimenti, di propositi, di desideri che più umani di così non potrebbero essere: battute argute, certamente dirette a far sorridere nell’immediato, ma che racchiudono proposte di riflessione tanto più marcate quanto più appaiono casuali (“se trascuri il corpo anche l’anima mette su pancia”).
Lo spettacolo, in realtà, non manca di toccare tasti sociali importanti, quali il celibato dei sacerdoti o la doppia morale tra i sessi, con una leggerezza paradossale all’apparenza ma assai incisiva nella sostanza.
Don Silvestro, giovane parroco di campagna, che si adopera per vivacizzare la vita della piccola comunità, riceve da Dio, che si rivela con una telefonata, l’incarico di costruire una nuova arca perchè un secondo diluvio universale è imminente. Ben presto, con l’aiuto dello stesso Creatore nella ricerca del legno necessario, il sacerdote riesce a convincere gli abitanti a realizzare una splendida imbarcazione. Dio vorrebbe anche un aumento della natalità attraverso rapporti d’amore legittimi, ma l’arrivo di Consolazione, una “pecorella smarrita” di facili costumi, che distrae gli uomini, rischia di far fallire il piano divino.
Ulteriore ostacolo un opulento cardinale inviato da una preoccupata curia romana, che cerca di allontanare i compaesani da Silvestro, ritenuto indegno della tonaca. Ma quando il diluvio arriva, Silvestro, che era salito sull’arca insieme alla vivace Clementina, fanciulla innamorata di lui, abbandona l’imbarcazione per condividerne la tragedia con la sua gente. Commosso, Dio rinuncia al diluvio e manda a modo suo la propria benedizione sulla tavola imbandita per festeggiare il ritorno alla normalità.
Un musical di marca prettamente italiana, dove l’orecchiabilità delle canzoni, la scelta dei movimenti e dei testi ammiccanti si fondono felicemente con il veloce andamento: la magia di questa forma d’arte non è esprimibile con una formula (tanto di musica, tanto di canto, tanto di danza) ma è ineguagliabile l’emozione dell’insieme che ne deriva, ben diversa dal semplice ascolto della musica o di un testo recitato.
Suggestiva la scenografia girevole, orientata sulla centralità dell’arca lignea, di cui vengono forniti … modelli di montaggio a scena aperta; belli i colori, anche dei costumi, dai toni vivaci ma mantecati, che richiamano l’atmosfera da favola.
Simpatico e surreale l’uomo-gallo che a tratti scandisce il progredire della vicenda.
Che dire di quel Dio umanizzato e onnipresente, ora severo e direttivo, ora umorale, ora largo di manica e sorprendentemente indulgente verso le debolezze e i desideri, anche troppo prevedibili, delle sue creature? Un plauso alla voce di lassù di Enzo Garinei.
Gianluca Guidi, nei panni di don Silvestro, sostiene brillantemente la parte che fu del celebre padre Dorelli: a tratti il tono di voce e la recitazione disincantata sono talmente simili a quella del genitore ( perdonami Gianluca), che lo spettatore meno giovane non può fare a meno di ricordarlo, mentre la mimica accentuata ricorda quella dell’indimenticabile madre, Lauretta Masiero. Applausi al fisico del ruolo indovinato e alle doti canore del cast, specie di “Clementina”.
Una commedia divertente, dalla morale semplice e diretta: al tavolo della vita c’è posto per tutti, basta stringersi un poco e abbandonare giudizi dati con un metro lungo un centimetro. L’ultima parola pare essere quella di Consolazione: a che serve essere felici se anche gli altri non partecipano alla tua felicità?
Elisa Prato