Al Premio Strega “Come passeri sui cavi”, decadente della narrativa contemporanea a firma di Pieralice e Radini Tedeschi
Al Premio Strega “Come passeri sui cavi” – con la presentazione di Paolo Ferruzzi – e già candidato al Premio Comisso, appare una interessante e inattesa scoperta letteraria di certo controcorrente rispetto a quella maniera, oggi in voga, di raccontare in prima persona vicende dove l’invenzione soccombe all’autobiografia senza alcuna apparente intenzionalità letteraria, con un minimalismo di parole e di orpelli che mostrano la scena cruda, diretta.
Al contrario gli autori scelgono qui un’impalcatura narrativa classica, dove la terza persona è attenta alla messa a fuoco di ogni personaggio con un linguaggio ricercato e prezioso quanto un’opera d’arte, quasi che la semplificazione debba essere evitata a tutti i costi.
E non affatto ordinarie o normali sono le vite dei personaggi, questi ultimi benestanti, ricchi, borghesi appaiono apparentemente lontani dalle galere delle miserie o da quelle della strada. Ma a una lettura profonda si percepisce come i due autori, per vicende forse diverse, siano entrambi ancora alla ricerca di se stessi, incapaci nell’io e di una conseguente autoreferenzialità narrativa a tal punto da demandare a un “egli” la scelta di vivere o morire.
E allora le loro creature, frutto certamente di fantasia ma anche di fragilità, mancanze, debolezze appaiono quasi esperimenti sociali in grado di mostrare come il male di vivere possa nascondersi anche in quei ceti dove artificio, ricchezza e bellezza sembrano voler esorcizzare l’esistenza. Sofia, la protagonista, figlia di importanti imprenditori campani, sin dall’inizio si manifesta come presenza diafana e spenta: “Un mucchietto d’ossa, un groviglio di nervi, un sacchetto di denti, un elastico di ciocche scure… talvolta si vedeva così, separata, scissa, insignificante.
Forse per questo non amava specchiarsi, anzi spesso dimenticava di sé, del volto, del nome. Si tollerava” (p.16) seppur sia l’unica, tra tutti, capace di intraprendere un graduale percorso di crescita perché, si legge nel Prologo: “la salvezza abita nel deragliamento, nella caduta, nelle crepe, negli spaventi” (p. 13). E ancora l’aristocratico Guido, antagonista al personaggio femminile nonché suo marito, apparentemente volitivo e quasi eroico nel suo superomismo in realtà: “Non poteva condividere con nessuno quel senso di cupa profondità da cui era afflitto, che lo induceva, talvolta, persino a provare raccapriccio verso sé stesso” (p.22).
E poi uno spaccato umano di “sagome” messe al palo dalla realtà, definite nella loro incapacità di determinarsi; tutte comparse di un’esistenza condizionata da una cieca e inarrestabile casualità. Persino il ventitreenne Fabio, figlio di una giovane generazione fatta di “skate, street art, felpe, cappucci, jeans larghi istoriati con la biro” (p.57) farà parte: “di adolescenti acerbi mai alla stessa altezza della vita… toccati da tutto ma dispersi nel nulla. Orfani senza radici né memoria, bisognosi solo di vicinanza; navigatori di Internet e naufraghi della coscienza” (p.59).
E allora ognuno, nel romanzo, sembra dismettere la propria apparenza per diventare tutti e nessuno, in una vicenda impersonale e a tratti insensata così come spesso è l’esperienza umana. “Un libro unico, difficile da dimenticare…rivolto a tutti coloro che soffrono il disagio della contemporaneità, a chi ha smarrito il senso ultimo della felicità e dello stare al mondo” (da Il Giornale del 10 Febbraio 2022).
I due autori sono quasi artefici di una storia incompiuta e ancora da scrivere per le frasi sibilline disseminate qua e là in un pugno di lettere che sanno di giudizi definitivi, di sentenze inappellabili. Basta l’incontro di “una pazza con la sua miseria” (p.207) per far capire quanto manchi ai corpi: “l’aria fresca, selvaggia, a causa dei troppi divieti, dei numerosi arresti” (p.207) e ancora come: “l’anoressia dai sentimenti” possa portare a “un’esistenza grigia, incolore, esangue, con un perimetro definito, morsicato, prevedibile” nonostante l’illusione “che ogni accadimento sia vero, emozionante, profondamente autentico quando in realtà è solo farsa, polvere gettata negli occhi” (p.208).
Anche la stessa Napoli, generalmente festosa ed eccessiva come la forma delle parole, dei lemmi delle frasi, appare ad una vista ravvicinata nebbiosa e desolata, come fosse simbolo di quelle umane solitudini.
“Una poesia lunga un romanzo espressa mediante una vicenda emblematica dei difficili tempi attuali” (da Libero Quotidiano del 31 Gennaio 2022) in cui la coscienza è smarrita seppur il doppio finale sembri aprire a una possibilità di riscatto per tutti quei “corpi disperati…così vicini, come passeri accostati piuma a piuma sui cavi elettrici delle periferie”.