Home Spettacolo Spettacolo Genova

Al Teatro Duse “Il cacciatore di nazisti” racconta l’olocausto

Al Teatro Duse "Il cacciatore di nazisti" racconta l'olocausto
Il cacciatore di nazisti (Foto Salvatore Pastore)

Per non dimenticare. Qualche momento di distrazione durante gli spettacoli è quasi scontato: ma da  questo monologo di un’ora e venti non ci si distrae un attimo. Impossibile dimenticare una sola parola.

Anno 2003: Simon Wiesenthal, sopravvissuto a cinque  campi di sterminio, ha dedicato l’esistenza a rintracciare i responsabili dell’olocausto. Nel suo ultimo giorno di lavoro, al centro di documentazione ebraica  da lui fondato, ripercorre cinquantotto anni di caccia ai criminali nazisti che uccisero undici milioni di persone, di cui sei milioni erano ebrei.

Un fiuto ed una determinazione infallibili che scovarono più di mille criminali, tra cui Karl Silberbauer, il sottoufficiale della Gestapo che arrestò  Anna Frank, Franz Stangl, comandante dei campi di Treblinka e Sobibor, e Adolf Eichmann, l’uomo che pianificò quella che Hitler definì “la soluzione finale”, l’eliminazione di tutti gli ebrei.

E’ un testo duro, agghiacciante, assai reale però nel rappresentare la personalità caleidoscopica dell’autore, determinata nella ricerca di giustizia, certo, ma non priva di qualche rivolo  umanamente comprensibile di rivalsa e di vendetta, nonchè di rammarico per essere riuscito a scovare solo una piccola parte, a suo dire, di quegli odiosi criminali.

E di averli trovati quando erano avanti con gli anni, per cui, per alcuni, la morte è arrivata poco tempo dopo la carcerazione.

Ma anche solo diciotto secondi di detenzione per ogni vita umana spezzata può bastare per restituire a chi rimane la parvenza di una giustizia.

Militari dalle coscienze anestetizzate, capaci di telefonare alle mogli per informarsi  sulle rose del giardino e sulla salute dei figli, dopo aver passato la giornata ad uccidere adulti e bambini in maniera atroce.

Il protagonista  racconta episodi conosciuti o meno, dalla mutilazione inflittagli per un nonnulla  alla quotidiana massacrante  vita dei disgraziati ospiti dei lager, alle orribili punizioni che spesso si concludevano con la morte, ai raccapriccianti  ed insensati esperimenti dei medici.

Simon rammenta  i testi attraverso i quali ci sono giunte le testimonianze degli orrori, tanto più toccanti quando provenivano da bambine, da Anna Frank con il suo diario alla piccola lituana Mascia, che imparava a memoria i diari dei compagni affinchè  le testimonianze non andassero perdute.

E soprattutto Simon si chiede il perchè  si sia giunti a questa sconfinata aberrazione, talmente mostruosa da non poter essere creduta se raccontata da eventuali superstiti, come avvertivano con  sadismo psicologico gli stessi carcerieri: “Se anche qualche prova dovesse rimanere o qualcuno di voi dovesse sopravvivere il mondo non vi crederà, la gente dirà che i fatti sono troppo mostruosi per essere creduti.” Loro e solo loro, le SS, avrebbero “fabbricato” la verità.

Alcuni, le vittime, cercarono di dimenticare per sopravvivere. Qualcuno non riuscì a farlo.

L’11 aprile 1987 lo scrittore Primo Levi, autore di “Se questo è un uomo”  in cui si raccontava la vita nei lager, si uccise gettandosi dalla tromba delle scale della sua abitazione di Torino.

Probabilmente  non reggeva al  senso di vergogna per essere sopravvissuto allo sterminio nazista, e la mancanza di risposte alla domanda “Perchè io?” lo condusse ad una forte depressione. Egli sentiva di aver ricevuto un “dono avvelenato”, ovvero quello di dover raccontare ciò che aveva vissuto, costringendolo a rivivere continuamente la sua sofferenza.

Anche i carnefici cercarono di dimenticare negando la verità, alcuni riuscirono a far credere ai propri discendenti che quei crimini fossero invenzioni, quei poveri  corpi disfatti solo manichini.

Remo Girone fornisce un’interpretazione forte e convinta, il regista Gallione una prova ulteriore  di efficace espositore e penetratore della psicologia umana. Fino a domenica 11 dicembre al Teatro Duse, da vedere, per rimanere vigili, per non dimenticare. ELISA PRATO