In corso al Teatro Modena fino al 14 gennaio, presentato dalla compagnia Il mulino di Amleto, lo spettacolo Come gli uccelli di Wajdi Mouawad, diretto da Marco Lorenzi e prodotto dal Teatro Nazionale di Genova.
Il testo racconta dell’amore di due giovani, lui israeliano, lei araba, la prevedibile reazione dei genitori, l’impronta sulle vite loro e di chi li circonda, in un lasso di tempo e spazio che tocca tre continenti e tre generazioni.
Il primo atto si sofferma sulla nascita di questo amore, un incontro che, come tutti gli incontri alimentati da un sentimento profondo, è vita e cambia la vita, comunque essa possa essere percepita.
Il secondo atto pone l’accento su un rigurgito dell’orgoglio di stirpe, di etnia, di nazionalità, che pare inevitabile ad un certo punto del percorso vitale di ogni essere pensante.
Lo spettacolo contiene tutti gli elementi, più o meno positivi, dello svolgimento del teatro contemporaneo: l’entusiasmo, passione, determinazione dei giovani artisti, molto coinvolti nell’esprimere forti sentimenti, anche nei personali riferimenti familiari ( come esposto nella presentazione del libro che precedeva l’inizio), il loro evidente ben riuscito lavoro di squadra, la recitazione spesso sopra le righe, qualche volgarità che pare inevitabile nelle attuali rappresentazioni, trovate tecniche azzeccate come la varietà dei linguaggi parlati e scritti, questi ultimi proposti nello scenario come un testo con accanto la relativa traduzione.
Un muro simbolico e toccante che gira lentamente, condotto dall’azione umana a scena aperta.
Uno spettacolo “politico” ma non partitico, con contenuti di forte attualità anche se certamente non costituenti una novità del pensiero collettivo.
Secondo chi scrive la vera forza del messaggio sta in quel bambino “ebreo” (che non sa di essere nato di stirpe palestinese, salvato da un ebreo e reperito in una scatola da scarpe) che ha acquisito, grazie alla formazione illuminata dei genitori adottivi, una aperta ed ampia cultura di negazione di ogni violenza o sopraffazione.
Un appunto? La durarata eccessiva dello spettacolo, più di tre ore e mezza compreso l’intervallo. ELISA PRATO