Un insegnante deve sostituire una collega che si è suicidata. Un supplente, e, per giunta, di origine algerina, un arabo in un paese straniero, ma questo si capisce dopo.
Una persona che, da come si pone, sembrerebbe aver bisogno di supporti psicologici, inadatto ad insegnare. Piano piano impariamo a conoscere la sua personalità e il suo agire apparentemente titubante, mentre cerca di imporsi agli scolari, alla preside.
Pare che, tra le molte esperienze proposte a scuola, incontri con i pompieri per apprendere la sicurezza, visite alle centrali del latte per conoscere l’economia, spettacoli teatrali per apprendere cultura, colloqui con la psicologa per conoscere se stessi, trovi a fatica il tempo di insegnare. E neppure si mostra troppo etico, diciamo che è piuttosto pratico.
Un suo alunno non ha amici? Pazienza, neppure lui. Ma da buon figlio di un dio minore, quale si sente, ha consigli vincenti da dare per imparare l’arte della sopravvivenza: stare sempre con quelli che hanno tanti amici, anche se falsi, prendere in giro il più debole; e se il più debole sei tu? Ridi, ridi sempre, da scemo, li spiazzerai. Quello che importa è imparare la socialità, a stare con gli altri.
Stranamente questa sua morale sfaccettata e di convenienza , ma non negativa, pare attecchire sugli alunni e portarli a ripensare il loro essere bambini, anche relativamente al tremendo evento, il suicidio dell’insegnante, di cui sono stati spettatori in classe: neppure il buon gusto di ammazzarsi in casa sua.
Un uomo che induce a pensare manca di progetti dinamici, sostiene la direttrice.
Pian piano si viene a scoprire il vero dramma dell’uomo, la perdita tragica di una moglie e tre figli disperatamente amati, disperatamente mancanti.
Uno spettacolo caleidoscopico, che non manca di offrire immagini simboliche e poetiche: bello il racconto dell’albero che protegge una crisalide verde, emblema di una vita che sta per sbocciare e che non sboccerà, ma l’albero bruciacchiato dallo stesso incendio che ha ucciso la creatura continuerà a vivere, con nostalgia.
Educare, e-ducere, tirare fuori. E così gli spunti di riflessione proposti agli alunni possono anche arrivare da un esperimento alla rovescia, un tema fatto dal professore per farsi correggere e far capire quanto è faticoso il compito di chi deve correggere.
Bashir Lazhar nasce dalla penna di una celebre drammaturga canadese, Evelyne de la Chenelière: la regia è di Thaiz Bozano, l’interpretazione magistrale, intensa e magnetica è affidata a Fabrizio Matteini. Primo spettacolo della Rassegna di Drammaturgia contemporanea, resta alla Corte fino all’otto giugno.
Elisa Prato