Davide contro Golia, una città di appena 27.000 anime contro la Capitale. Basterebbe questo per spiegare la magia di una notte storica, indimenticabile. Roma-Entella, però, è stata molto di più. All’Olimpico quel giorno si è vista la festa di un popolo, unito e stretto sotto un’unica bandiera. È stata la festa di una realtà che ha sempre avuto tradizione, ma che, per tantissime stagioni non è andata oltre ai campi polverosi della periferia ligure. Quella notte, in uno degli stadi più importanti del mondo, si è chiuso un cerchio, iniziato qualche anno prima. L’Entella ha toccato l’apice della propria storia, risorgendo dalle ceneri e compiendo una scalata indimenticabile. Eccellenza, serie D, C2, C1 e serie B. Una cavalcata trionfale fatta di tanti alti e perché no, anche di alcuni bassi. In quella stagione, tuttavia, i biancocelesti avevano una missione veramente speciale. L’anno prima, infatti, la prima squadra era retrocessa dalla serie B, lasciando una ferita indelebile nel cuore dei tifosi. Quella squadra, allenata da Roberto Boscaglia, aveva non solo il compito di vincere il campionato e di tornare subito in cadetteria, ma doveva cercare, attraverso il gioco e le prestazioni, di far rinnamorare una città intera. Il compito, oltretutto, venne complicato a dismisura da un’estate nella quale si parlò più di sentenze e tribunali piuttosto che di calcio giocato. L’Entella, abbandonata in un limbo tra una possibile riammissione in B e una ripartenza dalla C, iniziò il proprio campionato di terza serie nel mese di novembre, con due mesi da recuperare rispetto alle altre squadre.
In tutto questo polverone si inseriva la Coppa Italia. Competizione tanto apprezzata in estate per fare esperienza e mettere benzina nelle gambe, quanto vissuta con distacco d’inverno quando le sue sfide si inseriscono nella piena bagarre del campionato. L’Entella in estate batte il Siena e la Salernitana e si qualifica per i sedicesimi di finale, dove, affronterà il Genoa. La partita di Marassi, storica ancor prima di essere giocata, arriva pochi giorni dopo una sconfitta a Siena e un pareggio in casa con il Novara. L’Entella ha il campionato in testa, la squadra è forte, ma le tante partite da recuperare obbligano Boscaglia a effettuare sempre molti cambi. A Marassi, infatti, i biancocelesti si presentano con una squadra ampiamente rimaneggiata. Il destino, però, non conosce turnover. La gara è folle e l’Entella prima riacciuffa il Genoa al minuto numero 120, e poi vince ai rigori grazie alla parata decisiva di Paroni su Lapadula. È l’apoteosi. Il settore ospiti va in paradiso, in campo i giocatori piangono e urlano tutta la propria gioia. Negli spogliatoi e all’uscita dello stadio, però, si inizia a sussurrare una parola particolare. Un nome sconosciuto al vocabolario calcistico biancoceleste. Una cosa talmente grande che quasi si fa paura esplicitare: lo stadio Olimpico di Roma. Un tempio del calcio, dove l’Entella, con merito dovrà andare a giocare.
Le settimane che precedono il match sono cariche di tensione e aspettative. In città si respira un fermento nuovo. Quella squadra fa sognare per davvero ed è riuscita in pochi mesi a riaccendere i cuori di tutti. Si mobilitano Club, appassionati, media e simpatizzanti. Tutti vogliono accompagnare l’Entella nella notte più importante della sua storia. Il 14 gennaio, dalla statua di Cristoforo Colombo a Chiavari, il clima è da brivido. La città è paralizzata, partono sei pullman più numerose auto private in direzione Roma. La partita sarà una festa, l’Entella darà tutto, sfiorerà anche il gol, ma quello che, ancora oggi, a tre anni esatti di distanza resterà per sempre ben impresso nella mente e nel cuore di tutti coloro che amano questi colori, sarà il coro “CHIAVARI CHIAVARI”, urlato con orgoglio e spirito di appartenenza al cielo della capitale.