La morte di Franco Battiato susciterà il rimpianto non solo in tutti gli amanti della musica, ma anche quelli della poesia e della filosofia
Perché Franco Battiato, oltre che grande musicista, è stato grande poeta e filosofo. Quando il 18 maggio si è diffusa la notizia della sua morte, ma avremmo dovuto cominciare a rimpiangerlo già dal 17 settembre 2017, data del suo ultimo concerto tenutosi nel Teatro romano della sua Catania.
E questi due 17 vicini colpiscono davvero, sapendo quanto Franco Battiato fosse sensibile alla cabala.
Che sia una coincidenza o meno, è da quel giorno che è cominciata la sua lenta, progressiva e inesorabile scomparsa, accelerata da due eventi non meno significativi, che gli sono occorsi nell’anno successivo: un femore rotto due volte, prima su un palcoscenico a Bari, poi in casa sua. Se non lo abbiamo rimpianto da allora, è perché finché un artista è in vita, ci sembra ancora possibile che torni a regalarci nuove fantastiche creazioni e così sollevarci dagli affanni.
Sì, soltanto l’arte può darci tregua dal dolore, per questo piangiamo così tanto la morte degli artisti. Ma Battiato era un artista straordinario proprio per il suo rapporto valoroso con la morte: come tutti l’ha temuta, ma non l’ha mai fuggita, anzi, l’ha approfondita, da buon filosofo qual era.
Infatti non ha destato meraviglia il modo sereno, oltre che signorile, con cui ci ha lasciati. Ha voluto darci l’esempio più potente della sua saggezza, sappiamo quanto fosse calato, con un’autorevolezza mista ad una lodevole umiltà, nel ruolo di Maestro. E non deve nemmeno generare sconcerto il fatto che un uomo così saggio e intelligente abbia perso gradatamente e inesorabilmente coscienza.
James Hillman, il più grande psicologo dopo Jung e Freud, nel suo trattato “La forza del carattere”, scrive: “se un uomo prossimo alla morte sembra non capire e ricordare quasi più niente, a parte qualche sprazzo di lucidità, è perché sta facendo l’inventario nella soffitta dei ricordi prima di compiere il grande salto nell’aldilà”.
E Claudia Rainville, studiosa di psicosomatica, nel suo libro intitolato “Ogni sintomo è un messaggio”, azzarda: “l’Alzheimer sta al vecchio, come l’autismo al bambino” .
Dunque, quella che a noi, ancora al di qua, sembra incoscienza, sarebbe invece un rifugio in cui sostare per prepararsi adeguatamente ad andare nell’altro mondo.
A rifletterci fino in fondo viene la vertigine. E a proposito della rottura del femore, sempre Claudia Rainville scrive: “è il crollo su tutta la linea”. Tutto ciò ci fa capire quanto sia tragica ed eroica anche l’esistenza di un uomo dedito all’arte, anzi forse in questo caso lo è ancora di più, perché come dice Borges “morire in guerra è una cosa facile, è ben più difficile essere Paolo, servo del Cristo”. E Nietzsche, altro grandissimo filosofo, direbbe che la vita dell’uomo è autentica soltanto se è tragica e loderebbe Franco Battiato perché, da grande musicista qual era, non solo seppe vivere, ma anche morire andando perfettamente a tempo con la vita. Anche se tutte queste idee fossero pura immaginazione, resta il fatto che Franco Battiato, oltre che eroico è stato un uomo serio, sia nei confronti della morte che della vita, ma non di una serietà pesante, al contrario, leggera, nel senso calviniano del termine. Perciò dovremmo onorarlo soprattutto cercando di emulare questo suo modo serio, valoroso, sereno e signorile di morire. Dobbiamo ricordarci che siamo uomini in quanto mortali.
Se sulla lapide vengono scritte le date di nascita e di morte è per definire quella particolare traiettoria di esistenza che ci definisce come esseri unici e irripetibili. La morte ci terrorizzerà sempre, ma se non potessimo morire, niente di quel che facciamo avrebbe l’importanza che ha. Solo gli sconsiderati si comportano come se fossero immortali. Franco Battiato dunque è stato un vero Maestro di vita che si è espresso sia con la musica “difficile” che con quella “leggera”. Come Platone, ha sviluppato due piani di comunicazione ben distinti, uno esoterico e uno essoterico. Ha composto opere raffinate come “Gilgamesh”, ma al tempo stesso ha scritto canzoni facili come “Cuccurucucu”, “Bandiera Bianca”, “Centro di gravità permanente”. Per lui era fondamentale che i suoi pensieri, la sua sapienza, le sue visioni oniriche, arrivassero a tutti e se ci è riuscito è stato, oltre che per suo merito, perché, per fortuna, negli anni settanta – parole sue – “c’era ancora un pubblico numeroso che detestava la musica commerciale”.
Ecco, allora noi tutti ora dovremmo darci d’attorno per cercare di ricostituire quel pubblico, per preparare il terreno a un nuovo grande artista come lui. Franco Battiato si sentiva come Gilgamesh, cioè “colui che tutto intravide, l’eroe a cui i misteri furono manifesti, che patì sofferenze di ogni genere, cercò la vita eterna, raggiunse il lontano e la completa saggezza, per due terzi divino e per un terzo mortale, come sole possente, invincibile”.
Non si atteggiava, solo a vederlo si percepiva chiaramente la sua autenticità. Nella canzone “Lode all’inviolato” ha descritto perfettamente, anche se parzialmente, la sua grande anima: “Ne abbiamo attraversate di tempeste… Degna è la vita di colui che è sveglio, ma ancor di più di chi diventa saggio e alla sua gioia poi si ricongiunge… E quanti personaggi inutili ho indossato, io e la mia persona quanti ne ha subiti, arido è l’inferno, sterile la sua via…”.
Non si riesce a pensare ad altre persone sagge ed estremamente sincere come lui, almeno nel mondo della musica popolare. È stato sincero fino alla durezza, i testi delle sue canzoni parlano anche delle sue cadute, dei compromessi per adattarsi a quel grande supermercato che è il nostro mondo attuale. Non è un mistero che si sentisse esule in questo mondo, che fosse amareggiato per la futilità, le contraddizioni e gli orrori della nostra società e per quanto fossero poco illuminati i suoi abitanti. Il suo album “Povera patria” è un autentico canto funebre della nostra nazione.
Ma pure ha continuato ad amare fino all’ultimo la vita e la sua terra, la Sicilia, il suo Etna, sulle cui pendici volle erigere la sua casa. Ascoltare “i sussulti del gigante buono”, trovarsi ad un passo dall’abisso delle origini della esistenza, sentire battere il cuore e pulsare il sangue del nostro pianeta sotto di sé, era pure importante, quanto sollevare lo sguardo al cielo.
Definì la vocalità della sua conterranea Giuni Russo “una potenza tellurica”, perché per lui la terra e la lava che ci scorre dentro era una fonte d’ispirazione importante.
A questo punto non ci può non venire in mente Empedocle agrigentino con la sua filosofia dei quattro elementi: acqua, aria, terra e fuoco. E anche Eraclito, che ammoniva i “dormienti”. E naturalmente non si può non pensare all’antico Egitto, che dalla Sicilia non dista poi molto, anzi sembra quasi che la Sicilia ne sia stato un pezzo poi staccatosi per partire alla volta dell’altro continente, come per nostalgia dell’antichissimo Pangea.
Franco Battiato ha concluso la sua parabola di vita e di Maestro su questa terra.
Per noi è morto, ma ricordiamoci che credeva fermamente nella reincarnazione e forse per questo non ha sofferto negli ultimi momenti di vita.
Dunque, piangiamo pure Franco Battiato, ma non diciamo che ci ha lasciato un grande vuoto, gli faremmo torto.
Dobbiamo dire invece che ci ha lasciato una ricca eredità che dobbiamo cercare di onorare.
PIERO TROFA
(Musicista)