Fine vita e il caso alla Corte Costituzionale, che ha suscitato un mare di polemiche. “Non c’è un diritto al suicidio né un obbligo dei medici di concorrere a una volontà suicidaria” è la posizione espressa ieri in udienza dall’Avvocato dello Stato, Ruggero Di Martino, per il quale “si sta parlando di una norma penale che tutela il diritto alla vita in modo adeguato”. Ecco l’analisi del prof. genovese Paolo Becchi.
L’Avvocatura dello Stato non ha alcun potere vincolante e quindi lascia il tempo che trova.
Nel caso specifico ci sono recenti sentenze della Corte costituzionale che in parte hanno abrogato l’art. 580 del Codice penale e quindi a questo punto solo il parlamento sovrano può modificare le cose.
Siano a me consentite un paio di considerazioni generali.
Dire che non esiste un diritto al suicidio cosa vuol dire? Che è vietato il suicidio?
Insomma, se uno tenta di suicidarsi e non ci riesce che facciamo? Lo mettiamo in galera?
No, perché uno è libero di suicidarsi e se è libero di suicidarsi vuol anche dire che ha il diritto di togliersi la vita.
Potrà violare un comandamento religioso, ma dal punto dell’ordinamento giuridico uno è libero di tirarsi un colpo di pistola o di buttarsi giù da un ponte quando vuole e perché vuole: sono cavoli suoi.
Ma il problema di chi oggi si discute è un altro. Si vuole che il medico in linea di tendenza possa diventare, a gradi, un “killer” del suo paziente e questo va assolutamente evitato: no alla medicalizzazione dell’eutanasia e del suicidio assistito.
Abbiamo visto cosa hanno fatto i medici durante l’emergenza sanitaria negli ospedali, dove hanno di fatto lasciato morire in condizioni disumane un sacco di pazienti.
Non vogliamo che ora siano per legge autorizzati a uccidere i loro pazienti.
Questo avrebbe dovuto dire l’Avvocatura dello Stato, se avesse voluto dire di qualcosa di provocatorio ma di sensato invece di ripetere giaculatorie. Prof. Paolo Becchi
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