“Il motivo per applaudire l’arrivo del 73enne ex banchiere centrale Mario Draghi non è principalmente il fatto che si tratti del personaggio pubblico italiano più rispettato nel mondo economico a livello mondiale.
Mario Draghi è passato alla storia per la rapidità e decisione con cui una volta a capo della Bce ha iniziato il cosiddetto ‘Qe’, acquisti di debito pubblico per migliaia di miliardi e in percentuale del Pil molto maggiori di quelli della Fed o della Banca di Inghilterra.
Questo però indica non solo capacità di decidere in una situazione di emergenza, ma anche una direzione opposta all’austerità di Mario Monti o altri premier ‘tecnici’ come Lamberto Dini o Carlo Azeglio Ciampi del passato, a cui potrebbe essere equiparato”.
Lo hanno sottolineato oggi il prof. genovese Paolo Becchi e Giovanni Zibordi in un articolo pubblicato sul quotidiano MilanoFinanza.
“Quello che infatti Draghi ha fatto passare alla Bce dal 2014 al 2019 – hanno spiegato Becchi e Zibordi – è stato il maggiore finanziamento (indiretto) di deficit pubblici della storia, che continua tuttora.
La politica associata al nome di Draghi alla Bce ha consentito a tutti i Paesi Ue di aumentare i deficit pubblici per centinaia di miliardi a costo zero o quasi zero (in alcuni casi sottozero).
Nel caso del governo Monti è avvenuto il contrario, si sono aumentate le tasse e contenuto il deficit durante una recessione per paura dell’aumento del debito pubblico. Con Draghi alla Bce il debito pubblico ha cessato di essere un problema, prova ne sia il fatto che oggi quello italiano arriva al 160% del pil e i tassi dei Btp a 5 anni sono a zero.
Ma ora Draghi non è alla Bce, anche se ovviamente un suo governo godrà di un appoggio pieno da parte della Bce, e cosa farà di preciso?
Molti sembrano non aver letto quello che Draghi ha scritto chiaramente per due volte sul Financial Times lo scorso anno e cioè ‘far creare denaro alle banche’ (per usare le sue parole).
Questa ricetta è diversa da quella solita per cui vengono invocati i governi tecnici, cioè le mitiche ‘riforme strutturali’, che richiedono anni anche se ovviamente nel caso della giustizia, amministrazione pubblica o scuola sarebbero benvenute.
Innanzitutto, mette una pietra sopra la nozione di austerità.
Ancora più importante è che Draghi sottolinea come lo Stato debba coordinare, garantire e indirettamente finanziare l’espansione del credito.
Tutti i discorsi sul Mes o Recovery Fund sono secondari al confronto.
Nell’economia attuale il credito è il modo in cui si crea il denaro che circola e l’economia italiana è soffocata da mancanza di denaro creato dalle banche.
Al momento, l’unico che sembra comprendere chiaramente il problema e avrebbe la credibilità e tutte le capacità di affrontarlo è Draghi, il quale ha indicato una soluzione di tipo finanziario o monetario se si vuole: la necessità di deficit pubblici ampi che compensino le perdite di reddito del settore privato e l’uso del settore bancario indirizzato dallo Stato a finanziare l’economia.
Questo è precisamente quello che si fa da anni negli altri Paesi avanzati, dalla Cina agli Usa, dove il governo agisce direttamente e indirettamente sul sistema finanziario e bancario invece di lasciarlo a se stesso come in Italia.
Le banche creano quasi tutto il denaro nell’economia, ma sulla base di garanzie e queste sono fornite loro principalmente dagli immobili, esistenti e in costruzione.
Questo meccanismo in Italia si è inceppato più di dieci anni fa e soffoca l’economia italiana sotto il peso della contrazione del credito e poi delle ‘sofferenze’, che a loro volta inceppano le banche.
Draghi ha tutta l’esperienza, la credibilità nel mondo economico e finanziario italiano e globale per sbloccare il sistema di finanziamento dell’economia italiana e farla ripartire”.